Imposte

Recupero Iva da morosità, nel mirino l’attivazione delle clausole risolutive

di Giuseppe Carucci e Barbara Zanardi

La possibilità di recuperare, a determinate condizioni, l'Iva addebitata in fattura è disciplinata dall' articolo 26 del Dpr 633/1972 . In sostanza, la norma consente la rettifica dell'imposta in tre casi: in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili; in seguito al mancato pagamento, anche parziale, del corrispettivo ma solo dopo l'esperimento infruttuoso di procedure concorsuali, esecutive o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti, ovvero di un piano attestato ed infine in conseguenza dell'applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente. Questo impianto normativo lascia dunque scoperto il problema del recupero dell'Iva in tutti quei casi in cui l'importo relativamente esiguo del credito in sofferenza non giustifichi il sostenimento dei costi dell'azione legale di recupero. Si pensi, ad esempio, alle imprese con una clientela composta prevalentemente da un elevato numero di privati, che acquistino singolarmente beni o servizi per importi limitati. In tal caso, le eventuali morosità non possono essere gestite con azioni esecutive antieconomiche e dunque, portati a termine infruttuosamente i tentativi di recupero del credito, tali posizioni devono essere stralciate dal bilancio. Si generano, in tal modo, perdite deducibili (ex articolo 101, comma 5, del Tuir ) per un ammontare pari all'intero importo del credito stesso (imponibile più imposta), non potendosi recuperare automaticamente l'Iva con una variazione in diminuzione ex articolo 26. Un problema non da poco se si considera che, da uno studio di Unirec, svolto in collaborazione con il Sole 24 Ore, è emerso che il totale di bollette e rate non pagate nel 2014 ha raggiunto la cifra record di 56,2 miliardi di euro per un totale di 40,6 milioni di pratiche affidate a società di recupero crediti, con un peso del 47% di quelle affidate dal settore delle utilities e delle telecomunicazioni.

Alcuni degli operatori economici colpiti da una forte morosità e legati ai clienti da contratti di somministrazione, hanno attivato le clausole risolutive espresse e conseguentemente operato il recupero dell'Iva sulle somme fatturate ma non incassate, in applicazione della parte dell'articolo 26 nella quale è previsto che la nota di variazione in diminuzione possa essere operata in caso di risoluzione, senza che sia necessario provare l'infruttuoso esperimento delle procedure esecutive. L'agenzia delle Entrate in sede di verifica ha contestato tale comportamento e recuperato con un avviso di accertamento l'Iva oggetto delle variazioni in diminuzione.

La Ctp Milano ha accolto il ricorso del contribuente ritenendo che nel caso di inadempimento di una delle parti, la risoluzione del contratto ha piena efficacia retroattiva estesa anche alle prestazioni pregresse, il che fa venir meno l'operazione ai fini Iva con conseguente possibilità di emettere la nota di credito ed evitando in tal modo una diversa lettura dell'impianto normativo contraria al principio di neutralità dell'Iva (sentenza 43/05/13). Segue appello dell'Agenzia e ordinanza della Ctr della Lombardia 259 del 3 marzo scorso , che ha chiesto alla Corte di Giustizia europea di giudicare se sia conforme ai principi di proporzionalità, effettività e neutralità, l'imposizione di limiti al recupero dell'Iva, in caso di mancato pagamento, che lo rendano impossibile o eccessivamente oneroso. La Ctr chiede inoltre che la Corte valuti specificatamente la parte dell’articolo 26, comma 2, nella quale il diritto al recupero dell'Iva è subordinato all'esperimento di procedure concorsuali o esecutive infruttuose anche qualora tali attività siano antieconomiche in ragione del credito vantato, delle possibilità di recupero e dei costi legali.

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