Imposte

Sugli utili accantonati la mini-Ires perde il confronto di convenienza con l’Ace

di Giorgio Gavelli

Ace batte mini-Ires. Anche dopo le modifiche del decreto crescita, che ne hanno semplificato il calcolo eliminando l’ulteriore paletto legato agli investimenti e all’incremento di personale, l’agevolazione attualmente disciplinata dall’articolo 2 del decreto legge 34/19 si presenta meno performante, in termini di risparmio fiscale, rispetto alla detassazione prevista dall’articolo 1 del decreto legge 201/11, abrogata dall’articolo 1, comma 1080, della legge di bilancio 2018 e che le imprese stanno sfruttando per l’ultima volta nel modello Redditi 2019.

Pur in attesa che il decreto attuativo chiarisca a tutto tondo il meccanismo di calcolo della nuova agevolazione, mettendo a confronto le due misure emerge che la mini-Ires riduce l’imposta da versare più timidamente rispetto alla precedente agevolazione, anche ipotizzando che l’Ace fosse ancora applicabile nella sua versione “light” in vigore per il 2018 (con coefficiente di rendimento nozionale pari all’1,5%). E ciò per una serie di motivi che potremmo definire “strutturali”.

Guarda l’esempio sulla diversa convenienza di Ace e mini-Ires

La vecchia Ace non agevolava solo il mantenimento degli utili all’interno dell’impresa, ma anche le iniezioni di danaro da parte dei soci, come pure la rinuncia ai finanziamenti. La mini-Ires, invece, si concentra solo sui risultati di esercizio, tralasciando completamente gli altri incrementi patrimoniali, anche se realizzati tramite mezzi liquidi.

L’Ace si presentava come un meccanismo incrementale: le risorse agevolabili venivano memorizzate e, se non vi erano decrementi o non scattava il limite del patrimonio netto di fine periodo, si sommavano ogni anno ai fini del beneficio.

Anche la mini-Ires ha, di base, un meccanismo di cumulo, che però è fortemente limitato dal reddito imponibile di periodo e inoltre nettizza gli incrementi patrimoniali degli utili già agevolati nei periodi d’imposta precedenti. Senza considerare che l’Ace partiva già da una dotazione che si era formata dal 2011, permettendo alle imprese più virtuose di poter contare su una detassazione che aveva raggiunto importi rilevanti.

La mini-Ires, invece, parte dal 2019 , per cui i comportamenti positivi tenuti nel passato non hanno effetto. Volendo fare un esempio si considera una società costituita nel 2018, anche se ciò finisce per evidenziare che, ai fini Ace, contrariamente a quanto accade con la mini-Ires, tutta la dotazione patrimoniale di costituzione in danaro era un beneficio che la società si trascinava nel tempo.

È, del resto, evidente che le due misure hanno un impatto differenziato. L’Ace era una vera e propria detassazione: il rendimento teorico calcolato sulle risorse agevolabili via via accumulate costituiva una quota di reddito imponibile sostanzialmente ad aliquota Ires pari a zero. Così non è per la mini-Ires: in questo caso una quota (o al limite anche la totalità) del reddito imponibile viene tassato ad una aliquota inferiore a quella ordinaria, che, a regime (cioè dal 2023), sarà del 20%.

Il riporto In assenza di reddito imponibile, ovvero in presenza di un reddito imponibile insufficiente ad assorbire l’Ace, l’eccedenza veniva riportata a nuovo e si sommava al rendimento del periodo successivo, senza dover nuovamente sottostare al vincolo del patrimonio netto. Nella mini-Ires, l’eccedenza di utili agevolabili non assorbita dal reddito di periodo viene riportata a nuovo, ma il testo normativo non è chiaro su cosa accade nel periodo successivo. Pare di comprendere che vi sia un nuovo confronto con il limite patrimoniale, diversamente da quanto accadeva ai fini Ace.

Il confronto di convenienza tra Ace e mini-ires sugli utili accantonati

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