Controlli e liti

I problemi attuali e gli scenari futuri della disclosure

di Antonio Tomassini

La necessità di comportamenti uniformi nella gestione delle pratiche di voluntary disclosure è una priorità assoluta e bene fa la direttiva interna dell’agenzia delle Entrate ad evidenziarlo. Tuttavia nelle prime esperienze applicative di disclosure si è registrata una certa difformità di comportamenti su alcuni aspetti, che vanno dalla determinazione dell'ammontare delle sanzioni RW in relazione a Unico 2014 (l’importo da prendere a base, come chiarito a Telefisco, è il “valore finale”), alla applicazione della presunzione sulla ristrettezza della base azionaria in caso di disclosure nazionale, che deve tenere in considerazione le imposte pagate dalla società, agli impatti Iva delle stesse disclosure nazionali, all’applicazione del netto frontiera in caso di dividendi, all’approccio verso i prelevamenti.
Il punto è che per perseguire in concreto l’obiettivo di uniformità cui fa riferimento la direttiva interna diramata dalla direzione centrale, vista anche l’impressionante mole di lavoro, occorre probabilmente una cabina di regia stabile presso la direzione centrale con persone dedicate ed esperte cui sia gli uffici periferici, sia i contribuenti possano sottoporre casi particolari e che assolva anche il compito di monitorare lo stato di avanzamento delle numerose pratiche. Ciò senza mai dimenticare che la disclosure va inquadrata, per espresso rinvio di legge, tra le procedure di accertamento e quindi le soluzioni devono attingere dalla miglior prassi accertativa degli Uffici (anche attraverso ricostruzioni presuntive ispirate al buon senso ed all’id quod plerumque accidit) e possono far leva sulle dichiarazioni sostitutive di atto notorio del contribuente, che sono assistite da un reato in caso di mendacio e per tale ragione devono essere ritenute affidabili. I casi particolari sono ovviamente quelli di valore importante (potrebbero essere quelli superiori ai 10 milioni) e quelli, anche di minor valore, che presentano profili interpretativi complessi (sia “dentro” che “fuori” dall’ambito applicativo della disclosure).
Peraltro in questo contesto potrebbe prendere forma l’ufficio grandi patrimoni persone fisiche, felice intuizione da riempire di contenuto ed anzi da collocare in una normativa nuova che tenda alla compliance dei cosiddetti high net worth individual.
In questa nuova normativa potrebbe poi trovare collocazione sistematica una nuova procedura di collaborazione volontaria, che potrebbe restare a regime nel nostro ordinamento, come già avvenuto in altri Paesi, tipo gli Stati Uniti e la Francia.
La compliance per le persone fisiche (un po’ come il regime di cooperative compliance per le società) dovrebbe tendere a normalizzare il rapporto fisco-contribuente. Quest’ultimo dovrebbe poter agevolmente accedere a risposte a quesiti/interpelli e a formule di accordo preventivo su come strutturare determinate operazioni (dalla costituzione di un trust, alla sottoscrizione di una polizza, sino a più complesse forme di passaggio generazionale), oltre che ottenere benefici in termini di riduzione o non applicazione di sanzioni amministrative e penali. A fronte di ciò il contribuente dovrebbe fornire una fotografia completa del suo patrimonio, una sorta di dichiarazione dei patrimoni da affiancare a quella dei redditi.

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