Adempimenti

Forfettario fino a 100mila euro in bilico: più rischi per i senior e al Centro-Nord

di Cristiano Dell’Oste e Valeria Uva

L’addio al regime forfettario in versione extra large rischia di lasciare a bocca asciutta quasi un professionista su dieci. Per la precisione l’8,4% della platea. Parliamo della “seconda puntata” della flat tax per le partite Iva. Quella, cioè, con aliquota al 20%, riservata ai contribuenti con ricavi o compensi annui tra i 65 e i 100mila euro. Già prevista dall’ultima legge di Bilancio, è destinata a scattare dal 2020. Ma non c’è ancora l’autorizzazione della Commissione europea. E il nuovo Esecutivo non pare avere una linea comune: dopo le voci insistenti su una quasi certa eliminazione, venerdì scorso il premier, Giuseppe Conte, ha annunciato che manterrà l’aliquota al 15% per chi ha ricavi fino a 65mila euro (fatto quasi scontato) e cercherà «di incrementarla anche per i redditi superiori» (fatto che segna una relativa novità).

Chi rischia l’esclusione

Ma chi sono i più interessati alla flat tax nella versione maggiorata? La risposta è nel monitoraggio del Sole 24 Ore del Lunedì sui ricavi dichiarati a fini previdenziali a sei Casse, che rappresentano oltre 418mila professionisti ordinistici su un totale di circa 1,7 milioni.

Di fatto, nel 2018 il 13% dei commercialisti ha denunciato alla propria Cassa un giro d’affari compatibile con la flat tax potenziata (cioè tra 65 e 100mila euro). Oltre la media si collocano anche i consulenti del lavoro (11%) e i periti industriali (sempre 11%). Minore, invece, l’incidenza per gli avvocati (8%), i geometri (6%) e gli iscritti all’Epap, ente pluricategoriale di agronomi, attuari, chimici e geologi (6%). Manca, invece, il dato di Inarcassa (ingegneri e architetti) che fa sapere di non elaborare «estrazioni ad hoc finalizzate alla pubblicazione di dati non precedentemente distribuiti» agli stakeholder istituzionali.

Se si scava più in profondità, si vede che un possibile addio al forfait maggiorato rischia di essere molto più pesante per i professionisti senior. Per tutte le categorie monitorate, le fasce d’età più colpite sono quella dai 41 ai 50 anni (commercialisti, periti industriali) e quella dai 51 ai 65 anni (avvocati, consulenti del lavoro, geometri e iscritti all’Epap). Notevole anche l’impatto per gli over 65, mentre nella fascia degli under 30 – tipicamente con magri introiti – i potenziali esclusi non arrivano quasi mai all’1 per cento.

L’effetto sul territorio

La Lombardia non è tra le regioni più interessate al forfait extra large, perché tende ad avere molti contribuenti nella fascia oltre i 100mila euro. Più coinvolte, invece, aree con redditi medio-alti del Centro-Nord, come la Valle d’Aosta, il Trentino Alto Adige, le Marche e il Piemonte. Discorso a parte per il Sud, dove pochi superano la soglia dei 100mila euro e il possibile addio al forfait rischia di ricadere sulla pattuglia dei contribuenti con i redditi maggiori.

Al di là della delusione degli esclusi, l’abolizione della flat tax al 20% permetterebbe di troncare sul nascere le contraddizioni di un regime che non prevede l’applicazione dell’Iva e che comporta un tax rate facilmente dimezzato rispetto all’Irpef (da una parte, aliquota piatta al 20%; dall’altra, Irpef almeno al 41%, pur con deduzioni e detrazioni, cui aggiungere addizionali, Irap e Iva). Uno “scalone”, insomma, che potrebbe incentivare le furbizie (per rientrarvi) o frenare la crescita dimensionale (per non uscirne).

I dati delle Casse, comunque, dimostrano che il grosso dei professionisti – quasi l’80% – si trova sotto i 65mila euro di ricavi. Perciò, ha già i requisiti per entrare nel forfait attuale, salvo il rispetto degli altri limiti di legge. Non a caso, nei primi sei mesi del 2019 la flat tax è stata scelta dal 51,3% delle nuove partite Iva. Qui si tratterà piuttosto di vedere se e quali correzioni ci saranno dal 2020. La prima ipotesi è l’obbligo di fattura elettronica. Il resto si vedrà con la manovra di Bilancio.

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