Controlli e liti

La strategia imprenditoriale definita non fa scattare l’abuso del diritto

di Enrico Holzmiller

«In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici».

La Ctr Lombardia, Sezione distaccata di Brescia, nella sentenza n. 878/26/2019 hanno così introdotto il tema dell’abuso, in un contesto in cui le Entrate avevano disconosciuto una cessione di partecipazione, nell’ambito di un leveraged buy out, riqualificandolo come cessione aziendale. La sentenza sottolinea tre aspetti particolarmente importanti nell’ambito dell’abuso del diritto:

1) La redditività non deve essere necessariamente immediata.

I giudici sottolineano come sia da escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni fiscali non marginali, valendo come tali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa determinando un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda.

2) Il contribuente è libero di scegliere il regime fiscale più conveniente.

Resta ferma la libertà del contribuente di scegliere l’operazione comportante il minor carico fiscale (fatta salva la sussistenza della «sostanza economica»).

3) Non c’è abuso se la strategia aziendale è ben definita.

Tale elemento appare essenziale. Laddove infatti il contribuente riesca a dimostrare che l’operazione o la serie di operazioni contestate hanno una propria ragion d’essere imprenditoriale e aziendale, all’atto pratico vengono automaticamente superati sia il tema della «sostanza economica» (in re ipsa), sia quello della non essenzialità del «movente fiscale» (se la strategia aziendale risulta essere valida e coerente con l’obiettivo, anche futuro, di massimizzare le “performance”, ne consegue che il vantaggio fiscale assume una valenza secondaria).

Gli aspetti suesposti sono ben evidenti nel caso trattato dalla Commissione giudicante.

Nel caso di specie, infatti – precisano i giudici – si è in presenza della estrinsecazione dell’esercizio della libertà di iniziativa imprenditoriale, e con l’operazione posta in essere una società (Beta) ha acquistato l’intero pacchetto azionario di Alfa (società accertata e parte del contenzioso in commento), poi incorporata, senza versamenti finanziari ma tramite il ricorso al sistema bancario. Ciò ha consentito ai protagonisti di «effettuare sinergie imprenditoriali e potenziare l’apparato produttivo senza privarsi della liquidità necessaria destinata agli investimenti programmati e senza appesantire la situazione debitoria del gruppo, valido motivo per non procedere alla cessione d’azienda». Il tutto secondo lo schema negoziale posto in essere dal contribuente e disciplinato dall’articolo 2501 del Codice civile (Lbo), che «costituisce una legittima alternativa, prevista dall’ordinamento giuridico, alla cessione d’azienda, fondata su valide ragioni economiche diverse dal mero vantaggio fiscale».

Ctr Lombardia, Sezione distaccata di Brescia, sentenza 878/26/19

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