Imposte

Saldo da rivalutazione, il Fisco spiazza chi ha coperto le perdite

di Stefano Chirichigno e Paolo Meneghetti

Quali sono le conseguenze fiscali che derivano dai vari utilizzi del saldo attivo da rivalutazione monetaria? L’utilizzo della riserva genera tassazione solo se essa viene distribuita ai soci o anche quando viene utilizzata per copertura di perdite di esercizio?

Queste domande sono diventate di scottante attualità dopo la pubblicazione dell’interpello 316 del 24 luglio 2019 che ha avuto una notevole eco proprio perché con le campagne rivalutative degli ultimi anni, a partire da quella più diffusa del Dl 185/2008, sono stati rivalutati molti immobili (oltre ad altri beni d’impresa) con la genesi assai frequente di saldi attivi, in sospensione d’imposta o meno a seconda delle scelte eseguite dall’impresa.

Le indicazioni delle Entrate
In questo interpello una società incorporante si trova ad iscrivere un disavanzo da annullamento della partecipazione che, come prevede il documento Oic 4, deve essere portato – ove possibile – a incremento del valore dei beni ricevuti con la fusione, ovvero iscritto come avviamento, o infine, nel caso in cui non vi siano plusvalori latenti negli asset della incorporata, trattato come perdita con conseguente riduzione del patrimonio netto della incorporante.

È proprio tale ultima fattispecie quella su cui l’interpellante chiede il parere dell’Agenzia, con la particolarità che la copertura della perdita imputata a patrimonio netto avviene mediante l’utilizzo del saldo attivo da rivalutazione (riserva in sospensione d’imposta) che viene ridotto tramite verbale di assemblea straordinaria (ex articolo 13, comma 2 della legge 342/2000), senza che esso sia in alcun modo attribuito ai soci.

La tesi della interpellante consiste nel ritenere che l’annullamento di tale riserva in sospensione d’imposta non provochi alcuna imposizione in capo alla società, mentre l’agenzia delle Entrate conclude in senso contrario, con una affermazione perentoria, ma francamente arida di valide argomentazioni.

Il punto centrale che induce l’Agenzia a ritenere che l’utilizzo del saldo attivo a copertura di perdite generi tassazione è rinvenibile nell’articolo 13 della legge 342/2000, il quale stabilisce che il saldo attivo da rivalutazione deve essere imputato al capitale sociale o accantonato in una apposita riserva, con «esclusione di ogni diversa utilizzazione» e proprio tale ultimo inciso pare l’elemento fondante a sostegno della tassazione, sebbene tale ricostruzione non convinca del tutto.

Norme ambivalenti
Le norme sulla rivalutazione dei beni d’impresa presentano da sempre una doppia accezione civilistica e fiscale, e l’articolo 13 della legge 342/2000 non fa eccezione: come emerge da autorevole dottrina (si veda la circolare Assonime 13/2001, paragrafo 14) i primi due commi presentano disposizioni di carattere civilistico mentre gli altri quattro legiferano in ambito fiscale.

Quando, nel comma 1, si afferma che è esclusa ogni diversa destinazione della riserva (rispetto all’allocazione al capitale o iscrizione nel netto) lo si fa in ambito civilistico per affermare che al saldo attivo è assegnato lo stesso regime vincolistico del capitale sociale, ma è solo leggendo il comma 2 – dove sono descritte le condizioni per tale utilizzo – che emerge, per tabulas, che il saldo attivo è utilizzabile a copertura di perdite (anche in mero ambito civilistico).

La distribuzione ai soci
Fin qui nulla questio in ambito fiscale, ambito, invece, di cui si occupano i commi 3 e seguenti laddove l’unica ipotesi di tassazione della riserva è la distribuzione ai soci, come conferma la citata dottrina (pagina 42): «La cessazione della sospensione d’imposta dipende esclusivamente dalla distribuzione ai soci». Pertanto altri utilizzi della riserva, quali la copertura di perdite, non rientrano tra quelle soggette a imposizione.

Se così non fosse, non si comprenderebbe, peraltro, la ratio del comma 3, per la quale la concorrenza al reddito imponibile della società si ha con la sola distribuzione. Nella stessa direzione si muove anche il decreto attuativo 162 del 2001 che nell’articolo 9 recita testualmente: «Nelle ipotesi indicate nell’ articolo 13, comma 3, della legge, il saldo aumentato dell’imposta sostitutiva concorre a formare la base imponibile della società o dell’ente ai soli fini delle imposte sul reddito». La lettura delle norme conferma, dunque, che l’unica fattispecie di tassazione del saldo attivo è quella del comma 3 dell’articolo 13, la distribuzione ai soci, mentre nessun richiamo esplicito è previsto ad altre ipotesi di utilizzo.

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