Adempimenti

L’abilitazione perde appeal: -2mila giovani rispetto al 2013

di Eugenio Bruno

La fuga dalle professioni continua. Lenta e inesorabile come una goccia che scava la roccia carsica. In alcuni casi è più evidente (si pensi ai dottori commercialisti o agli architetti), in altri meno (agronomi o farmacisti).
In certe situazioni si tratta di un fenomeno recente (esperti contabili o veterinari), in altre è invece datato (ingegneri industriali o dell'informazione). Ma lo scenario complessivo non muta: gli abilitati alle sezioni A e B degli Albi professionali si riducono ancora. Basta guardare le rilevazioni del ministero dell'Istruzione sui promossi agli esami di Stato dell'ultimo quinquennio. Si è passati dai 44.028 complessivi del 2013 ai 42.107 del 2017. Una differenza di 2mila unità.

La fotografia complessiva
Il calo di “promossi” accomuna gran parte delle professioni ordinistiche. Il dato era già emerso nel rapporto sulle professioni nell'università che l'Agenzia per la valutazione della ricerca universitaria (Anvur) ha realizzato l'anno scorso e che prendeva in esame le statistiche disponibili fino al 2015. Una nuova conferma giunge ora dalle rilevazioni del Miur aggiornate al 2017 e riassunte nella tabella pubblicata qui accanto (che non include gli avvocati perché censiti dalle Corti d'appello) nella quale viene effettuato il confronto con il 2013. Ebbene, a parte poche eccezioni - tra cui i medici chirurghi, che nell'ultimo quinquennio preso in considerazione hanno visto salire gli abilitati da 6.712 a 8.696, gli assistenti sociali che sono passati da 1.417 a 1.554 o gli ingegneri civili e ambientali che sono cresciuti da 4.718 a 4.915 - la stragrande maggioranza delle 36 professioni censite vede prevalere il segno meno.

I singoli casi
In valore percentuale sono i biotecnologi agrari (-88,9%) e i conservatori dei beni architettonici e ambientali (-86,7%) a registrare il maggior calo di abilitazioni. Tuttavia, vista l'eterogeneità della platea complessiva, che tiene insieme professioni “storiche” e sicuramente inflazionate con altre giovani e in attesa di maturazione, in questo caso conviene forse soffermarsi sui dati in valore assoluto. Da cui spicca in primis l'emorragia di dottori commercialisti: nel 2013 erano 3.612; calando di anno in anno, nel 2017 sono diventati 2.184. Stesso discorso, da un lato, per gli ingegneri industriali, con i promossi all'esame di Stato che calano da 3.824 a 2.879. E, dall'altro, per gli architetti, che nell'arco di un quinquennio perdono 765 abilitati. Una tendenza che, per questi ultimi, non risparmia neanche il contingente “junior”: -73 tra il 2013 e il 2018. Più contenuta invece la diminuzione registrata in altri ambiti. Ad esempio tra gli agronomi (laureati e non), i farmacisti o i biologi. Altalenanti infine i numeri degli psicologi (4.907 nel 2017) che risultano in aumento se il confronto avviene rispetto al 2013 ma diventano in calo se ci sposta sul 2016.

Le tendenze in atto
Anche se quelli finora rappresentati sono casi diversi, dovuti spesso a ragioni peculiari e con prospettive di uscita dalla crisi probabilmente differenti, un campanello d'allarme per il futuro delle professioni nelle nostro Paese dovrebbe comunque risuonare. Tra gli Ordini e i Collegi professionali, tra gli aspiranti professionisti e anche all'interno dell'Esecutivo di turno. Soprattutto se al calo degli abilitati segue un calo degli iscritti. «Per noi è stato così», sottolinea Tommaso Di Nardo, ricercatore della Fondazione nazionale dei commercialisti. Nel ricordare che anche i neo-iscritti all'Ordine continuano a essere in calo (dai 2.310 del 2017 si è scesi ai 2.218 del 2018), Di Nardo sposta il focus sui tirocini che, dopo la forte contrazione degli anni scorsi, risultano in lieve aumento. «Ma è un incremento - avverte - che non deve trarre in inganno perché continuiamo ad avere circa 120mila iscritti complessivi e 13mila praticanti. Quindi in media uno su nove. Troppo pochi. E infatti si registra una lamentela diffusa tra i professionisti sul fatto che si fatica a trovare dei praticanti».

Una situazione per certi versi analoga si riscontra tra gli architetti. Che scontano - come evidenzia Paolo Malara, coordinatore del dipartimento Università, tirocini, esami di Stato del Consiglio nazionale degli architetti (Cnappc) - «anche la non obbligatorietà del tirocinio e l'incapacità dell'Italia di promuovere progetti nel campo della rigenerazione urbana. Mancando questa da 20-30 anni - conclude - che la professione di architetto ne risenta».

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