Adempimenti

L’interpello deve rimanere strumento di compliance

di Annibale Dodero e Maurizio Leo

Il nostro ordinamento è ricco di strumenti che consentono di governare il rischio fiscale, ossia la possibilità di subire accertamenti, potenzialmente in grado di determinare ingenti danni economici e reputazionali; alcuni riguardano un ristretto ambito di soggetti (cooperative compliance), altri l’intera platea dei contribuenti (dichiarazione precompilata, ravvedimento allargato, indici sintetici di affidabilità ecc.).

Intendiamo soffermarci sull’interpello, uno strumento che «non serve a soddisfare curiosità ma a risolvere casi concreti» e che, per questo, è la chiave di volta del dialogo tra Fisco e contribuenti.

Partiamo dalla riforma del 2015, che si caratterizza per la significativa riduzione delle aree di “obbligatorietà”, la semplificazione delle regole procedurali e la generalizzazione della perentorietà dei termini di risposta.

Tra le opportunità introdotte vi è la possibilità di presentare anche interpelli di tipo qualificatorio, antiabuso, relativi a nuovi investimenti, abbreviati (nel regime di cooperative compliance), nonché la possibilità di ottenere risposta sulla esistenza o meno di una stabile organizzazione nell’ambito degli accordi di ruling.

La funzione interpretativa in fase di interlocuzione preventiva non deve, però, essere condizionata dallo strabismo del controllo, che può ben ispirare fasi successive e, comunque, meramente eventuali.

Va respinta la tentazione di trasformare l’interpello da strumento di compliance a strumento di “accertamento preventivo”. Sarebbe una scelta pericolosa, in ragione della pressoché totale carenza di poteri istruttori per l’Agenzia e della insufficiente codificazione delle modalità di partecipazione del contribuente al procedimento di formazione dell’atto.

Più in generale, in questo modo, si altererebbe il sistema stesso della fiscalità di massa, fondato, come noto, sulla responsabilizzazione del contribuente nell’esecuzione degli adempimenti fiscali e nel successivo controllo dell’Agenzia. In questo senso, la funzione dell’interpello, che è quella di fornire al contribuente certezza del diritto in cambio di trasparenza, va assolutamente preservata. Si arriverebbe, altrimenti, a una bizzarra eterogenesi dei fini, per cui uno strumento, creato per porre al riparo dalla imprevedibilità del comportamento degli uffici nell’esercizio del controllo, si trasforma in una anticipazione di quel controllo.

Nelle più recenti pronunce dell’Agenzia delle Entrate è possibile, per la verità, intravedere dei rischi. Hanno suscitato perplessità, ad esempio, casi in cui, senza che fosse richiesto dal contribuente, l’Agenzia ha fornito un parere di abusività, a fronte del quale non è chiaro, se e come siano state attentamente valutate le ragioni extra-fiscali, che non sono il focus di un interpello che sembra essere di tipo interpretativo. Insomma, tutto depone nel senso di considerare pronunce di questo tipo un cedimento alla tentazione di utilizzare l’interpello per anticipare il controllo.

Auspichiamo che la consapevolezza del delicato ruolo esercitato, che ha sempre caratterizzato i vertici dell’Agenzia, faccia, invece, prevalere un orientamento più aperto, più rispettoso della funzione che la norma affida strumento e, in definitiva, dei diritti dei contribuenti.

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