Controlli e liti

Autonomia del processo tributario lontana dal diritto comune

di Enrico De Mita

Con ordinanza 273/2019 la Corte costituzionale ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità degli articoli 22 e 27 del decreto legislativo 546/92. Tali norme erano censurate dal remittente (Ctp Genova, ord. 1.4.2019) nella parte in cui sanzionano con l’inammissibilità del ricorso, rilevabile d’ufficio, la tardiva costituzione in giudizio del ricorrente, anche quando si sia costituito in giudizio il resistente.

Secondo la Corte il processo tributario sarebbe, in sé, «funzionale al consolidamento dell’atto amministrativo e alla tutela dell’interesse pubblico alla certezza e stabilità della pretesa finanziaria oggetto del provvedimento impugnato».

La Corte evoca il solo limite della “manifesta irragionevolezza” al parossismo fiscalistico, per altro ricoverato sotto le grandi ali dell’ampia discrezionalità del legislatore che dovrebbe solo preoccuparsi di non rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa.

Il nodo centrale della questione, che pure emergeva dai profili di censura dell’ordinanza di rimessione alla Corte, riguarda il mancato adeguamento delle norme del processo tributario al processo civile, il cui percorso di cognizione ordinaria ammette la costituzione tardiva dell’attore fino alla prima udienza qualora, in assenza di costituzione tempestiva dell’attore, il convenuto si sia, invece, costituito in giudizio tempestivamente. Nel processo civile, inoltre, l’estinzione del giudizio non è mai dichiarata d’ufficio.

Come previsto dall’articolo 1, comma 2 del Dlgs 546/92, le norme processuali civili si applicano al processo tributario in tanto in quanto non derogate.

A fronte dell’identica premessa della costituzione in giudizio della parte convenuta, il processo civile può incardinarsi ritualmente; nel processo tributario, invece, l’esito sarebbe l’inammissibilità del ricorso.

Alla luce dell’articolo 3 della Costituzione, declinazione superiore del principio di capacità contributiva sul piano della ragionevolezza, le deroghe tributarie al diritto comune sono legittime costituzionalmente in quanto «non irragionevoli».

A ben vedere l’Ufficio, nel processo pendente innanzi alla Ctp di Genova, poteva rimanere silente e attendere il decreto presidenziale di inammissibilità. Al contrario esso stesso ha inteso instaurare il processo nella sua pienezza, insistendo per la declaratoria di inammissibilità del ricorso, esito per il quale la costituzione dell’ufficio non sarebbe stata per nulla necessaria.

La peculiarità dei crediti tributari e del processo tributario non possono valere a discostare gli esiti della costituzione tardiva dell’attore nel processo di cognizione civilistico, rispetto alla costituzione tardiva del ricorrente nel processo tributario, a fronte dell’identica premessa della costituzione in giudizio del convenuto.

L’inutile costituzione dell’Ufficio diviene, nel caso di specie, l’occasione per coltivare il processo e pervenire ad una decisione nel merito, una volta rimossa la deroga costituzionalmente irragionevole che si rinviene nell’articolo 22 e, con esso, nell’articolo 27 del decreto sul contenzioso tributario.

Al contrario, la Corte evoca, in modo tralatizio, una “specificità” tautologica della giurisdizione tributaria rispetto a quella civile ed amministrativa, specificità radicata nel presupposto che il processo tributario è un processo impugnatorio che ha un oggetto, per così dire, speciale, consistente nel rapporto sostanziale imperniato – dice la Corte – sul «potere-dovere di provvedere, con atti autoritativi, all’accertamento ed alla pronta riscossione dei tributi» (53/98).

Torna la vecchia primazia dell’autoritatività dell’atto amministrativo funzionale all’interesse fiscale inteso come interesse alla riscossione a prescindere dalla ragionevolezza e dalla esistenza del rapporto sottostante. Ma il rapporto d’imposta, correttamente inteso sul piano costituzionale, ha bisogno di essere riportato nell’alveo del diritto comune, e non di essere allontanato in una deriva particolaristica del diritto tributario.

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