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Brexit, esenzione da ritenuta sui finanziamenti inglesi fino al termine del 2020

Durante il periodo di transizione il diritto Ue continua ad applicarsi al Regno Unito e nel Regno Unito

Esenzione da ritenuta su finanziamenti a medio e lungo termine erogati da enti creditizi dell’Unione europea ancora applicabile alle banche stabilite nel Regno Unito fino al 31 dicembre 2020. È questa la conclusione alla quale si dovrebbe giungere analizzando le disposizioni in materia.

I termini della questione
Ma procediamo con ordine. L’articolo 26, comma 5-bis, del Dpr 600/1973 ha introdotto un’esenzione dall’applicazione della ritenuta sugli interessi relativi a finanziamenti a medio-lungo termine erogati, tra l’altro, da enti creditizi stabiliti in Paesi dell’Unione europea. A seguito della Brexit e della ratifica dell’accordo di recesso («Withdrawal agreement»), con effetto dal 1° febbraio 2020 il Regno Unito non è più parte dell’Unione europea. L’articolo 126 dell’accordo ha tuttavia previsto un periodo di transizione che durerà fino al 31 dicembre 2020 (prorogabile fino a due anni). Si è posto il dubbio se durante tale periodo l’esenzione da ritenuta prevista dall’articolo 26, comma 5-bis - che letteralmente si riferisce agli «enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea» - possa continuare a trovare applicazione per le banche inglesi. Si è dell’avviso che una risposta positiva a tale interrogativo possa rinvenirsi nell’articolo 127 dell’accordo. Tale disposizione garantisce infatti che durante il periodo di transizione il diritto dell’Unione continui ad applicarsi al Regno Unito e nel Regno Unito, producendo gli stessi effetti giuridici che produce all’interno dell’Unione e degli Stati membri, ed è interpretato e applicato secondo gli stessi metodi e principi generali applicabili all’interno dell’Unione.

Il periodo di transizione
È inoltre previsto che durante il periodo di transizione i riferimenti agli Stati membri nel diritto dell’Unione, anche attuato e applicato dagli Stati membri, si intendono fatti anche al Regno Unito. Nonostante l’esenzione da ritenuta ex articolo 26, comma 5-bis non consegua all’attuazione nel nostro ordinamento di una disposizione comunitaria, durante il periodo di transizione dovrebbero continuare a trovare applicazione le libertà fondamentali regolate dal Tfue, incluse la libera prestazione di servizi e la libera circolazione dei capitali. Negare la spettanza dell’esenzione durante il periodo di transizione rappresenterebbe pertanto una violazione delle libertà fondamentali ora richiamate. Coerente impostazione è stata del resto adottata dallo stesso legislatore nel Dl 22/2019 (decreto Brexit), recante misure in caso di recesso del Regno Unito in assenza di accordo (hard-Brexit).

L’articolo 13 del decreto Brexit garantiva infatti l’applicazione delle «disposizioni fiscali nazionali previste in funzione dell’appartenenza del Regno Unito all’Unione europea, ivi incluse quelle connesse con l’esistenza di una direttiva Ue» per un periodo transitorio di 18 mesi dalla data di recesso, con ciò confermando per il medesimo periodo anche l’esenzione da ritenuta ex articolo 26, comma 5-bis. Si ritiene pertanto che analogo regime dovrebbe applicarsi fino al 31 dicembre 2020 a seguito della ratifica del Withdrawal agreement. Sarebbe infatti incoerente concludere che il raggiungimento dell’accordo di recesso possa peggiorare la posizione degli enti creditizi inglesi.

Peraltro, fino a tale data, è prorogato di diritto il regime di mutuo riconoscimento delle autorizzazioni e del sistema di vigilanza (si veda il comunicato stampa del Mef del 31 gennaio 2020) e dovrebbe essere pertanto garantito il rispetto della normativa bancaria nazionale disciplinante la riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico che è un presupposto per la spettanza dell’esenzione.

L’applicazione dell’esenzione
Si rileva poi che, testualmente, l’esenzione si applica «agli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea». Valorizzando la formulazione della norma, sembrano esserci spazi per ritenere che l’appartenenza all’Unione europea del finanziatore debba essere valutata al momento dell’erogazione del finanziamento.

Tale impostazione non sarebbe peraltro una novità. Già in passato l’agenzia delle Entrate, per valutare la spettanza di esenzioni su interessi relativi a strumenti finanziari, ha stabilito il principio secondo cui occorre guardare alla situazione giuridica esistente alla data di effettuazione dell’operazione, a nulla rilevando i successivi mutamenti in fatto. Si pensi a quanto stabilito nella circolare 306/E del 23 dicembre 1996, secondo cui l’esenzione da ritenuta su interessi relativi ad obbligazioni emesse da società per azioni le cui azioni sono negoziate nei mercati regolamentati italiani deve trovare applicazione «anche nel caso in cui, successivamente all’emissione del prestito obbligazionario, la quotazione delle azioni dovesse risultare sospesa o revocata».

Similmente, in materia di reddito d’impresa, il principio secondo cui il cambio di status fiscale non dovrebbe incidere sul regime applicabile alle operazioni in fieri è stato autorevolmente sostenuto da Assonime nella circolare 16/2019 – con riguardo al regime Ires di deducibilità delle svalutazioni su crediti, in capo a soggetti che a seguito del recepimento della direttiva Atad, hanno mutato il loro status fiscale, passando da soggetti «finanziari» a soggetti «industriali». Le conclusioni di cui sopra dovrebbero rilevare, per ragioni di coerenza, tanto con riguardo a finanziamenti erogati ante Brexit, quanto con riguardo ai nuovi finanziamenti erogati durante il periodo transitorio.