Diritto

Concordato preventivo, i beni conferiti al fondo entrano in liquidazione

Secondo la Corte d’appello di Milano non si applicano le regole del fallimento

ADOBESTOCK

di Giuseppe Acciaro, Alessandro Danovi

Nel concordato preventivo anche i beni costituiti in fondo patrimoniale fanno parte del patrimonio che il debitore è tenuto a preservare per assicurare la migliore soddisfazione dei creditori sociali. È il principio affermato dalla corte d’appello di Milano (sentenza del 17 novembre 2020) che ha integralmente riformato il provvedimento emesso dal Tribunale di Milano con il quale si era ritenuto che ai beni del debitore in concordato preventivo conferiti nel fondo patrimoniale si applicassero le stesse regole applicabili al debitore fallito e che quindi gli stessi non rientrassero nel patrimonio liquidabile. La Corte ha precisato che nel concordato non rileva, invece, il conferimento dei beni nel fondo patrimoniale, in quanto l’articolo 169 della legge fallimentare che indica le norme della procedura di fallimento applicabili al concordato preventivo non richiama l’articolo 46 della stessa legge. Quest’ultima disposizione esclude infatti dal compendio dei beni del fallito quelli costituiti in fondo patrimoniale esclusivamente in tema di fallimento.
I giudici precisano che il mancato richiamo non deve considerarsi una svista o una dimenticanza del legislatore e quindi non può ricavarsi automaticamente un’implicita, autonoma operatività dell’articolo 46 in materia concordataria, considerati i diversi effetti delle due procedure.
Nel caso del fallimento, sottolinea la Corte, il debitore viene infatti spossessato del suo patrimonio, ragion per cui il legislatore si è preoccupato di non far seguire la stessa sorte ai beni strettamente personali del fallito.
Ciò invece non accade nel concordato preventivo, essendo questo un accordo proposto dall’imprenditore in stato di crisi ai suoi creditori e che non comporta per il debitore stesso la necessaria e automatica perdita del possesso dei propri beni. Né peraltro il fondo patrimoniale può costituire un ostacolo di per sé all’operatività dell’istituto del concordato preventivo.
Il fondo patrimoniale, evidenzia la Corte, determina infatti una limitazione temporanea della disponibilità dei beni in esso conferiti, limitazione che può venire anche meno in esito a una azione revocatoria o con la declaratoria di inefficacia, ma non incide sulla titolarità dei beni, la quale resta in capo a chi li conferisce.
La Corte quindi, nel riformare il provvedimento del Tribunale, conclude affermando come anche i beni costituiti in fondo patrimoniale fanno parte del patrimonio che il debitore è tenuto a preservare, evitando il depauperamento e la dispersione dell’attivo necessario a assicurare il soddisfacimento dei creditori secondo il piano concordatario.
La decisione appare coerente con diverse pronunce della Suprema Corte, che ha affermato come dopo la presentazione di una domanda di concordato con riserva, l’imprenditore può compiere anche senza necessità di autorizzazione del tribunale gli atti di gestione dell’impresa finalizzati alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio, secondo il medesimo criterio previsto dall’articolo 167 della legge fallimentare. Conseguentemente la distinzione tra atto di ordinaria o di straordinaria amministrazione resta incentrata sulla idoneità a pregiudicare i valori dell’attivo compromettendone la capacità di soddisfare le ragioni dei creditori, tenuto conto esclusivamente dell’interesse di questi ultimi e non dell’imprenditore insolvente (tra le altre Cassazione, sentenza 14713/2019).

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