Imposte

Cripto-attività, l’obbligo di RW non concilia con la sanatoria

La regolarizzazione per il passato contrasta con la compilazione del quadro del modello Redditi a partire dal 2023, che viene sancita ex lege per la prima volta

di Dario Deotto

Le cripto-attività dovranno essere indicate nel quadro RW. E allo stesso tempo viene prevista una regolarizzazione per il passato. Così stabilisce il Ddl di Bilancio 2023, destando qualche perplessità.

L’articolo 4 del Dl 167/1990 statuisce l’obbligo di indicazione nel quadro RW degli investimenti all’estero e delle attività estere di natura finanziaria «suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia». Il problema è che le valute virtuali, gli Nft, i vari token, non hanno – evidentemente – un collegamento “territoriale” con uno Stato estero.

In particolar modo, almeno finora, il problema si è posto per le valute virtuali per le quali il contribuente detiene la chiave privata. Secondo le Entrate, sussisteva comunque l’obbligo di compilazione nel quadro RW, senza indicare lo Stato estero di detenzione. Il fatto è che tale interpretazione, pur comprendendone le motivazioni, non risulta(va) supportata dal testo normativo. Quando il contribuente detiene personalmente il wallet, è (era) infatti difficile considerare le crypto un’attività estera di natura finanziaria. Senza contare che la stessa Agenzia ha stabilito che quando la giacenza media delle criptovalute per 7 giorni lavorativi continui non supera i 51.645 euro, le relative plusvalenze non vengono tassate; per cui è arduo sostenere che, in questo caso, si tratta(va) – considerando le crypto valuta estera – di attività «suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia», come prescrive la norma.

Obbligo esteso

Ora il Ddl di Bilancio si propone di stabilire che anche le cripto-attività debbano essere dichiarate nel quadro RW. L’obbligo, quindi, riguarderà non solo le valute virtuali, ma tutto ciò che può essere considerato “cripto-attività” (si veda l’articolo di Nt+ Fisco).

Ma è evidente che stabilendo ex lege l’obbligo a partire dal 1° gennaio 2023, risulta ancora più difficile sostenere – nel quadro d’insieme descritto – che l’obbligo sussistesse anche per il passato, peraltro per tutte le cripto-attività (quindi non soltanto per le valute virtuali).

Questo anche se la norma viene accompagnata da un’altra previsione che prevede la regolarizzazione delle, appunto, cripto-attività (quindi anche degli Nft, dei vari token, eccetera) non dichiarate in passato. Viene prevista la possibilità di sanatoria per coloro «che non hanno indicato nella propria dichiarazione annuale dei redditi le cripto-attività detenute entro la data del 31 dicembre 2021, nonché i redditi sulle stesse realizzati».

La sanatoria comporta il pagamento di una penalità pari allo 0,50% sul valore delle attività non dichiarate per ciascun anno, se non sono stati conseguiti redditi; mentre se si sono realizzati redditi (a questo punto, secondo la precedente connotazione delle crypto come valute estere – ma, ad esempio, gli Nft?) occorre aggiungere il pagamento di un’imposta sostitutiva del 3,5% sul valore delle stesse attività.

I fronti aperti

I dubbi sono davvero molti. Il prima fra tutti – come detto – riguarda la “conciliazione” di una sanatoria con un obbligo che viene sancito ex lege per la prima volta.

In più, ad esempio, si deve comprendere come si devono considerare le operazioni crypto su crypto quando la giacenza media risultava superiore a 51.645 euro per 7 giorni lavorativi continui che, in precedenza, secondo le Entrate si dovevano ritenere tassate, mentre ora (dal 2023) si vorrebbe considerarle irrilevanti.

Molte perplessità, dunque, per una tematica che va maneggiata con attenzione.

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