Professione

Commercialisti: «A rischio l’attività degli amministratori giudiziari»

di Federica Micardi

I commercialisti lanciano un allarme sulla riforma del Codice antimafia (Cam) che mette in difficoltà l’attività degli amministratori giudiziari.
Ieri la Fondazione commercialisti, insieme al Consiglio nazionale della categoria ha pubblicato un documento che sottolinea le criticità della riforma. I commercialisti sono direttamente interessati perché è certamente la professione più rappresentata nell’albo degli amministratori giudiziari istituito nel 2013. Infatti, degli 885 amministratori giudiziari attualmente iscritti nella sezione «esperti in gestione aziendale» – a cui è riservata la gestione di beni costituiti in azienda sottoposti a sequestro o - in 769 sono commercialisti, 111 avvocati e 5 di altre professioni.
Le tematiche affrontati nel documento – in tutto 50 pagine – sono sette:

1) criteri di scelta e requisiti professionali;

2) responsabilità civile;

3) responsabilità penale;

4) rappresentanza legale;

5) criticità relative al contenuto della relazione particolareggiata;

6) problematiche connesse al regime fiscale dei beni sequestrati o confiscati;

7) il coadiutore dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc): ruolo, responsabilità e compenso.

La rotazione degli incarichi e il limite dei tre mandati

La prima grande criticità evidenziata dal documento dei commercialisti riguarda il limite di tre mandati agli incarichi aziendali che possono essere affidati a un singolo amministratore. Una disposizione, si legge nel documento, «verosimilmente scritta sull’onda emozionale del noto “effetto Palermo”» ma che appare «mal formulata e confliggente con lo stesso spirito della riforma». Alla fine del 2015 «erano 8045 soltanto i procedimenti di prevenzione oltre quelli penali» si legge nel documento; e con la riforma appena approvata i procedimenti sono destinati a crescere.

Ma se gli amministratori giudiziari abilitati a gestire le crisi aziendali sono poco meno di 900, non potranno che seguire solo 1.800 (tre a testa). I commercialisti, dal canto loro, suggeriscono delle correzioni. «Bisognerebbe passare da un limite quantitativo di tre mandati, indipendentemente dalla complessità – spiegano Valeria Giancola e Giuseppe Tedesco, i consiglieri delegati al gruppo che ha elaborato il documento – a un limite qualitativo invece legato alla difficoltà dell’attività», accanto a questo suggerimento di buon senso il documento propone anche di «prevedere, nel caso di nomina di più amministratori, l’affiancamento a professionisti dotati di adeguata esperienza di settore, di professionisti, anche giovani, con minore esperienza».
Il limite al numero di mandati, oltre all’oggettiva impossibilità di gestire tutte i casi crea una serie di difficoltà: disincentiva il professionista ad investire in una organizzazione ad hoc, che non vedrà mail a luce se sono precluse le possibilità di crescita; disincentiva i professionisti ad intraprendere l’attività di amministratore giudiziario dato che, spiegano Giancola e Tedesco «con la riforma il legislatore chiede competenze specifiche e tecniche più elevate» e la formazione è un costo in termini di tempo e di denaro.

La relazione particolareggiata

Un altro aspetto della riforma che deve essere chiarito – perché in merito la legge non si esprime - riguarda la relazione di un professionista in possesso dei requisiti previsti dalla legge, che attesti la veridicità dei dati aziendali e illustri la sussistenza o meno di prospettive di continuazione dell’impresa. «Andrebbe ricompreso nelle spese di giustizia e non dovrebbe essere a carico dell’azienda - evidenziano Giancola e Tedesco – perché se in base all’attestazione l’azienda risulta decotta certo non potrà pagare il lavoro fatto dal professionista che rischia di lavorare a vuoto.
Sempre in merito all’attestazione andrebbero chiariti i principi da adottare, dato che non valgono i criteri che normalmente si adoperano perché i dati sono «drogati dalle infiltrazioni criminali» sottolinea Valeria Giancola.

Le responsabilità penali per chi sottoscrive questa relazione sono notevoli «ed è per questo – concludono Giancola e Tedesco – che abbiamo già avviato il gruppo di lavoro per fare delle linee guida per chi dovrà occuparsi delle attestazioni, linee guida che saranno condivise con l’Osservatorio antimafia costituito presso la Cassazione e con l’Osservatorio antimafia appena istituito presso il Consiglio nazionale della categoria».

La riforma del Codice antimafia: le problematiche applicative e il ruolo del professionista post riforma

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