Imposte

Telefisco 2023, le risposte del Mef sui tributi locali

Ecco le risposte del dipartimento delle Finanze del Mef, presentate a Telefisco 2023, in merito ad alcuni quesiti sui tributi locali. Si tratta di una parte dei chiarimenti forniti durante il convegno annuale da agenzia delle Entrate, ministero dell’Economia e Guardia di finanza: tutti consultabili su NT+Fisco.

1 - Imu, quando la dichiarazione ha valore costitutivo


Quando la dichiarazione Imu è a pena di decadenza? È corretto affermare che sussiste l’obbligo di dichiarazione Imu, a pena di decadenza, per beneficiare dell’esenzione dei fabbricati merce? Alla stessa conclusione si può arrivare anche per gli alloggi sociali e gli immobili di forze armate e militari?

Telefisco 2020 il dipartimento delle Finanze ha chiarito che nel nuovo impianto normativo dell’Imu (introdotto dalla legge 160/2019) non vengono più riproposte quelle norme che subordinavano, a pena di decadenza (come il Dl 102/2013), il riconoscimento delle agevolazioni al previo assolvimento dell’obbligo dichiarativo, come nel caso dei beni merce.

Recentemente la Cassazione ha tuttavia affermato che l’esonero dall’Imu previsto per i fabbricati “merce” presuppone la presentazione della dichiarazione, evidenziando che la legge 160/2019 non ha abrogato il Dl 102/2013 (Cassazione n. 5190 e 5191 del 17 febbraio 2022). In particolare, la Cassazione richiama la precedente pronuncia n. 21465 del 2020 e afferma che il comma 769 della legge 160/2019 non abroga il menzionato comma 5-bis dell’articolo 2 del Dl 102/2013, limitandosi a stabilire che i soggetti passivi devono presentare la dichiarazione o, in alternativa, trasmetterla in via telematica secondo le modalità approvate con apposito decreto ministeriale, entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui il possesso degli immobili ha avuto inizio o sono intervenute variazioni rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta.

Tale affermazione sembra mettere in discussione quanto sostenuto dal Mef a Telefisco 2020, secondo cui con la nuova Imu è venuto meno l’obbligo dichiarativo previsto a pena di decadenza.

Inoltre, la disciplina sulla nuova Imu prevede tre fattispecie (fabbricati merce, alloggi sociali e immobili di forze armate e militari; comma 769 della legge 160/2019) soggette all’obbligo dichiarativo «in ogni caso», inciso che non avrebbe alcun senso se si dovesse sostenere la tesi della dichiarazione non avente efficacia costitutiva dell’agevolazione (relativamente alle tre fattispecie citate).

Non sarebbe peraltro di ostacolo a tale conclusione la mancanza di un’espressa previsione, nella disciplina della nuova Imu, di fattispecie dichiarative soggette «a pena di decadenza», considerato il recente orientamento giurisprudenziale di legittimità che ritiene la dichiarazione per gli enti non commerciali indispensabile per ottenere l’esonero dall’Imu, pur in assenza di un espressa previsione «a pena di decadenza» per tale fattispecie (si vedano Cassazione 32742/2022 e 37385/2022).

Risposta
A lla luce dell’orientamento della Corte di cassazione, espresso successivamente all’intervento del Mef in Telefisco 2020, e, in particolare, nell’ordinanza n. 37385 del 2022, nella quale si legge che «il principio della decadenza da un beneficio fiscale in assenza del compimento di un onere di comunicazione espressamente previsto dalla legge è del resto un principio generale del diritto tributario (si veda Cassazione n. 21465 del 2020; Cassazione n. 5190 del 2022), come pure lo è quello secondo cui le norme di esenzione, in quanto norme che fanno eccezione rispetto a principi generali, non sono applicabili in via analogica», si deve ritenere che nel caso in esame relativo alla nuova Imu, per l’applicazione dell’esenzione prevista per i cosiddetti beni merce (articolo 1, comma 751, della legge 160/2019), nonché per i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali (articolo 1, comma 741, lettera c, n. 3, della legge 160/2019) e per gli immobili appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia ad ordinamento militare e da quello dipendente delle Forze di polizia ad ordinamento civile, nonché dal personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e dal personale appartenente alla carriera prefettizia (articolo 1, comma 741, lettera c, n. 5, della legge 160/2019), l’assolvimento dell’obbligo dichiarativo è necessario per ottenere il relativo beneficio fiscale.

È quindi in questa nuova ottica che deve essere letta la disposizione contenuta nell’articolo 1, comma 769, ultimo periodo, della legge 160/2019, secondo il quale in «ogni caso, ai fini dell’applicazione dei benefìci di cui al comma 741, lettera c), numeri 3) e 5), e al comma 751, terzo periodo, il soggetto passivo attesta nel modello di dichiarazione il possesso dei requisiti prescritti dalle norme».

2 - Tari tra regolamenti comunali e prescrizioni vincolanti


Le prescrizioni della delibera Arera 15/2022 sono vincolanti per l’adeguamento dei regolamenti comunali?

Con la delibera n. 15/2022 l’Arera interviene sulla disciplina della Tari imponendo di fatto ai Comuni di adeguare dal 2023 i propri regolamenti al Testo unico per la regolazione della qualità del servizio di gestione dei rifiuti urbani (Tqrif), prevedendo in particolare il termine di 90 giorni di presentazione della dichiarazione dall’inizio occupazione ex articolo 6 del Tqrif (in luogo del 30 giugno dell’anno successivo ex comma 684 della legge 147/2013), il termine di 120 giorni lavorativi per effettuare i rimborsi ex articolo 28.3 del Tqrif (in luogo dei 180 giorni ex comma 164 della legge 296/2006), la misura degli interessi con riferimento al tasso fissato dalla Banca centrale europea ex articolo 27.5 del Tqrif (anziché al tasso di interesse legale, ex comma 165 della legge 296/2006), eccetera.

Si tratta di prescrizioni regolatorie in contrasto alla normativa primaria sulla Tari, che non risulta formalmente modificata e che non può ritenersi derogata dalla delibera Arera n. 15/2022, considerata peraltro la riserva di legge in materia di finanza locale (articolo 150 del Tuel).

Si crea così un corto circuito applicativo, considerato che il mancato rispetto delle prescrizioni dettate dall’Arera è soggetto a conseguenze sanzionatorie (da 2.500 euro a 154,9 milioni di euro), ma il dipartimento delle Finanze potrebbe esercitare il suo potere di controllo ex articolo 52, comma 4, del Dlgs 446/97 impugnando le modifiche regolamentari in contrasto alla normativa fiscale.

Come devono regolarsi i Comuni in sede di adeguamento dei regolamenti Tari alle prescrizioni dell’Arera? Possono disattendere le prescrizioni in contrasto alla normativa primaria Tari e allineare i regolamenti solo alle prescrizioni dell’Arera che intervengono in ambiti non disciplinati dalla legge (tra cui gli effetti della dichiarazione di variazione ex articolo 11.3 del Tqrif, l’invio del documento di riscossione ex articolo 26.1 del Tqrif, l’ulteriore rateizzazione ex articolo 27.1 Tqrif e la rettifica degli importi addebitati ex articolo 28.1 del Tqrif)?

Inoltre, qualora si dovesse ritenere applicabile il termine di 90 giorni per la presentazione della dichiarazione Tari, quali conseguenze si avrebbero dal punto di vista dell’irrogazione della sanzione per omessa dichiarazione e del termine di decadenza ai fini dell’attività di accertamento?

Risposta
Occorre premettere che il quesito in esame attiene in maniera preponderante ai rapporti intercorrenti tra Arera ed enti locali e alle relative conseguenze, anche sanzionatorie: problematiche queste sulle quali non si ritiene di poter intervenire.

Vale comunque la pena di precisare che a norma dell’articolo 52 del Dlgs 446/1997, gli enti locali possono esercitare la propria potestà regolamentare, purché non si incida sull’aliquota massima, sui soggetti passivi e sulle fattispecie imponibili.

In particolare, le disposizioni sulle quali è intervenuta la delibera di Arera non risultano coperte dalla riserva di legge appena delineata; pertanto, anche sulla base di quanto affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (ordinanza 28 agosto 2001, n. 4989), gli enti locali possono disciplinare questi particolari aspetti diversamente da quanto previsto dalla legge.

A questo proposito, si richiama, ad esempio, il comma 685 dell’articolo 1 della legge 147/2013, il quale dispone che «la dichiarazione, redatta su modello messo a disposizione dal comune, ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati dichiarati da cui consegua un diverso ammontare del tributo; in tal caso, la dichiarazione va presentata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui sono intervenute le predette modificazioni».

Al riguardo, con la risoluzione n. 2/DF del 6 agosto 2019, il Mef ha chiarito che il termine di presentazione della dichiarazione Tari rimane «fermo al 30 giugno o al diverso termine stabilito dal Comune nell’ambito dell’esercizio della propria potestà regolamentare».

Atteso quindi che tale potestà regolamentare può essere esercitata entro i limiti sopra delineati, tuttavia altra è la tematica sottesa al quesito, vale a dire se gli stessi enti siano obbligati al rispetto delle prescrizioni derivanti dalle delibere dell’Arera: tematica che, come anticipato, non attiene alla competenza del Mef. In merito, si coglie l’occasione per richiamare l’attenzione, come altresì evidenziato nel quesito, sulla circostanza che, a norma dell’articolo 2, comma 20, punto c) della legge 481/1995, nello svolgimento delle proprie funzioni, l’Autorità «irroga, salvo che il fatto costituisca reato, in caso di inosservanza dei propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza da parte dei soggetti esercenti il servizio, alle richieste di informazioni o a quelle connesse all’effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti acquisiti non siano veritieri, sanzioni amministrative pecuniarie».

Tale sanzione, pertanto, dovrebbe colpire gli enti che non adeguano i regolamenti alle prescrizioni dell’Autorità.

Diverso, invece, è il caso in cui il regolamento comunale abbia o meno previsto il termine di 90 giorni per la presentazione della dichiarazione Tari e il contribuente non abbia tempestivamente adempiuto all’obbligo. Ovviamente, in siffatta ipotesi, nei confronti del contribuente si applicano comunque le disposizioni ordinarie relative alle sanzioni irrogabili per omessa dichiarazione e ai termini di decadenza fissati per l’attività di accertamento.

3 - Canone unico, la competenza su strade provinciali interne al Comune


Il canone unico patrimoniale su strade provinciali che attraversano i centri abitati spetta al Comune?

L’articolo 1, comma 838, della legge 197/2022 reca una modifica in riferimento alle strade che attraversano i centri abitati con popolazione superiore a 10mila abitanti. In particolare, al comma 816 della legge 160/2019, sono eliminate le parole «di Comuni». Pertanto la disposizione ora prevede che «nelle aree comunali si comprendono i tratti di strada situati all’interno di centri abitati con popolazione superiore a 10.000 abitanti, individuabili a norma dell’articolo 2, comma 7, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285». Si tratta di una definizione identica a quella dettata per il canone mercatale dal comma 837, sempre della legge 160/2019.

La modifica normativa non risolve completamente il dubbio interpretativo in merito al soggetto competente ad applicare il Cup, componente relativa all’occupazione di suolo pubblico.

Sul punto, si osserva che l’articolo 26 del Dlgs 285/1992 prevede al comma 3 che per i tratti di strade statali, regionali o provinciali, correnti nell’interno di centri abitati con popolazione inferiore a 10mila abitanti, il rilascio di concessioni e di autorizzazioni è di competenza del Comune, previo nulla osta dell’ente proprietario della strada. Sicché una lettura sistematica, oltre che razionale, porta a dire che in tutti i Comuni le autorizzazioni a occupare suolo pubblico sono di competenza comunale, cui spetta, per conseguenza, anche il Cup correlato all’occupazione.

Tale conclusione appare coerente con l’intero impianto normativo, visto che la debenza del Cup è collegato al rilascio di un’autorizzazione. Né si potrebbe sostenere, in base all’articolo 1, comma 822, della legge 160/2019, che per i tratti di strada per i quali l’autorizzazione è rilasciata dal Comune, secondo il citato articolo 26, la Provincia abbia l’obbligo di verificare presso il Comune la sussistenza di un’autorizzazione comunale e in assenza di questa procedere alla rimozione delle occupazioni e addebitare le conseguenti indennità e sanzioni. D’altro canto, infine, si osserva che l’articolo 1, comma 823, della legge 160/2019 prevede che il canone è dovuto dal titolare dell’autorizzazione o concessione, sicché anche per quest’altra via si dovrebbe ritenere che il Cup in questione spetti al Comune. Si condivide questa ricostruzione interpretativa?

Risposta
Non si condivide l’interpretazione avanzata, proprio sulla base della semplice lettura della disposizione recata dall’ articolo 1, comma 819, della legge 160/2019, la quale stabilisce espressamente alla lettera a) che il presupposto del canone unico patrimoniale (Cup) è «l’occupazione, anche abusiva, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico».

Il presupposto, ovviamente, necessita di una correlazione con la richiesta di autorizzazione o di concessione a carico del soggetto passivo, ai sensi del successivo comma 823, fermo restando che, in mancanza di tale richiesta, gli enti locali sono legittimati a colpire i responsabili dell’occupazione o della diffusione di messaggi pubblicitari effettuate abusivamente.

Pertanto, occorre avere riguardo, per individuare il soggetto attivo del Cup, all’ente proprietario dell’area interessata dall’occupazione. La previsione del comma 818 dell’articolo 1 della legge 160/2019, dopo le modifiche introdotte dal comma 838 dell’articolo 1 della legge 197/2022, chiarisce definitivamente il dubbio interpretativo relativo al soggetto competente ad applicare il Cup per i tratti di strada che attraversano centri abitati con popolazione superiore a 10mila abitanti che sono considerati comunali, anche nel caso in cui l’ente proprietario è la Provincia.

La norma, in definitiva, costituisce un allineamento con quanto già previsto dal successivo comma 837, per il canone di concessione per l’occupazione delle aree e degli spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile, destinati a mercati realizzati anche in strutture attrezzate.

La lettura sistematica delle norme, quindi, comporta che il Cup è applicato dall’ente titolare dell’area pubblica, con la sola eccezione dei tratti di strada che attraversano i centri abitati con popolazione superiore ai 10mila abitanti. Del resto non è stata mai messa in discussione la competenza della Provincia, anche in vigenza del precedente canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (Cosap), a percepire il gettito del canone sulle occupazioni realizzate su tratti di strade che attraversano centri abitati con popolazione inferiore a 10mila abitanti.

Va poi considerato che il legislatore si è preoccupato, con l’articolo 1, comma 818 della legge 160/2019, modificato ad opera della legge di Bilancio per il 2023, di individuare puntualmente gli enti legittimati a riscuotere il canone. Non avrebbe senso, pertanto, ricondurre la soggettività attiva alla mera competenza al rilascio dell’autorizzazione o della concessione che, sulla base dell’articolo 26, comma 3, del Codice della strada, è demandato al Comune.

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