Imposte

Detrazione Iva in salvo anche con le sanzioni sul reverse charge

di Giovanni Iaselli e Antonio Tomassini

Le violazioni riguardanti la mancata o erronea applicazione del meccanismo del reverse charge sono state fortemente ridimensionate in ossequio al principio di proporzionalità a partire dal 2016. La circolare 16/E/2017 ha illustrato le diverse casistiche contemplate all’ articolo 6, commi 9-bis, 9-bis1, 9-bis2 e 9-bis3, del Dlgs 471/1997 e le ragioni che hanno indotto il legislatore ad introdurre sanzioni più lievi in presenza di condotte connotate da scarsa gravità. Una prevalenza della sostanza sulla forma che pone al centro il riconoscimento in ogni caso del diritto alla detrazione dell’Iva irregolarmente assolta, conformemente alla giurisprudenza comunitaria (si vedano C-95/07 e C-96/07; C-590/13; C-272/13).

Le possibili situazioni
La prima ipotesi (comma 9-bis), riguarda l’omissione degli adempimenti contabili da parte del cessionario/committente in relazione ad un’operazione soggetta a reverse charge. Per tale violazione oggi è prevista una sanzione fissa da 500 a 20mila euro (prima era dal 100% al 200% dell’imposta), se l’operazione risulta comunque dalla contabilità dell’acquirente (diversamente, si applica la sanzione proporzionale compresa tra il 5% e il 10% dell’imponibile). I successivi commi 9-bis1 e 9-bis2 disciplinano i casi di irregolare assolvimento dell’Iva, per i quali, in luogo della sanzione pari al 3% dell’imposta, sono oggi previste sanzioni fisse da 250 a 10mila euro (in assenza di intenti fraudolenti). Il comma 9-bis1 riguarda l’Iva erroneamente assolta con i metodi ordinari invece del reverse charge; il comma 9-bis2 riguarda, invece, l’ipotesi inversa. L’«irregolare assolvimento», come affermato nella circolare 16/E, ricorre quando sono comunque stati eseguiti tutti gli adempimenti (fatturazione, registrazione e eventuale versamento) per far concorrere l’operazione alla liquidazione dell’Iva di periodo.

La (apparente) criticità che oggi può ravvisarsi rispetto al nuovo sistema sanzionatorio e alla riaffermata centralità del diritto alla detrazione può discendere dalla sentenza della Corte di giustizia del 26 aprile 2017 (causa C-564/15) . Il caso riguardava un soggetto ungherese che aveva acquistato un bene soggetto a reverse charge. L’Iva era stata erroneamente applicata con i metodi ordinari e detratta dal cessionario. I giudici unionali hanno ritenuto che i principi di neutralità fiscale, di effettività e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a che l’acquirente venga privato del diritto alla detrazione dell’Iva che ha versato al venditore per un’operazione, invece, da assoggettare a reverse charge.

L’allineamento
I principi espressi da tale sentenza, pronunciata dieci giorni prima della circolare 16/E/2017 e sicuramente presa in considerazione dall’amministrazione finanziaria, sembrerebbero comunque conciliabili con quanto chiarito dalla circolare. L’Agenzia ha infatti ritenuto che il riconoscimento del diritto alla detrazione è stato previsto dal legislatore per semplificare le modalità di recupero dell’Iva comunque assolta (e, quindi, senza perdita di gettito per l’Erario), in aderenza con i principi espressi nella sentenza Equoland (C-272/2013) che, proprio con rifermento al sistema sanzionatorio italiano, aveva confermato il diritto alla detrazione in presenza di violazioni meramente formali e in assenza di frode o danno per l’Erario.

Non sembrerebbero quindi ravvisarsi contrasti tra la sentenza C-564/15 e il sistema sanzionatorio tali da indurre il legislatore o l’agenzia delle Entrare a cambiare visione rispetto a delle sanzioni che oggi sono meglio calibrate sull’effettivo nocumento arrecato agli interessi erariali.

La circolare 16/E/17 dell’agenzia delle Entrate

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©