Imposte

Franco: «Priorità Irpef e Irap ma incognita sulle risorse»

Il ministro promuove le proposte parlamentari: Iva revisione a parità di gettito. Draghi frena sui tempi

di Gianni Trovati

Gli interventi per ammorbidire la curva Irpef sui ceti medi e per archiviare un’Irap «ormai non più giustificabile» sono «certamente i più urgenti» nell’agenda della riforma fiscale. Ma sulle modalità e sul calendario dell’attuazione pesa l’incognita più pesante: quella delle risorse, che «oggi non siamo in grado di definire» perché le varianti del Covid rendono incerte le prospettive economiche e soprattutto «non abbiamo certezze» sulle nuove spese per affrontare «le trasformazioni strutturali indotte dalla pandemia», nella sanità e non solo.

Nella sua audizione alle commissioni Finanze di Camera e Senato che chiude i sette mesi di lavoro preparatorio per la riforma fiscale, il ministro dell’Economia ripropone la linea tracciata nella riunione di martedì con i sottosegretari (Sole 24 Ore del 21 luglio). Mentre i tempi di approdo della delega slittano: ieri in conferenza stampa il premier Draghi ha di fatto escluso l’esame in consiglio dei ministri la prossima settimana. Segno che il lavoro è complesso, oltre a intrecciarsi a un calendario già fitto. Ma a questo punto il termine del 31 luglio indicato nel Pnrr per la presentazione della delega salterebbe.

Nel merito, il documento con le proposte votato nelle due commissioni guidate da Luigi Marattin (Iv) alla Camera e da Luciano D’Alfonso (Pd) al Senato ottiene una promozione quasi piena. Ma nel tracciare la legge delega il governo dovrà affrontare la variabile chiave dei saldi di finanza pubblica che nelle proposte parlamentari è rimasta un po’ sottotraccia. Con una premessa e una conseguenza: Franco chiude alle tentazioni di finanziare almeno parte della riforma in deficit («non credo sia uno scenario possibile con un debito pubblico al 160% del Pil», taglia corto), sostiene che le coperture devono arrivare da una «revisione strutturale della spesa» e quindi prospetta un orizzonte attuativo lungo, in più anni.

Messo in questi termini, lo scenario rischia di smorzare molti entusiasmi sulle sorti della riforma tributaria. Ma il ridisegno è un passaggio necessario alla ripresa del Paese, concordato con la Ue nel programma di riforme collegate al Pnrr.

Franco lo sa bene. E nella caccia all’equilibrio fra l’esigenza di mettere la riforma su un piano operativo e quella di non far suonare nuovi allarmi sui conti pubblici mette nella prima casella della cronologia degli interventi «l’azione di semplificazione e, più in generale, tutto quello che non ha un costo per le finanze pubbliche», che «andrebbe portato avanti da subito».

A spingere per le prime posizioni c’è il riordino in Codici delle normative sparse in ogni legge, ma anche la rateizzazione degli acconti delle partite Iva. Sul punto però Franco frena, perché quello dell’Istat sul mancato impatto sull’indebitamento netto è «un parere preliminare» e oltre al debito non va trascurato il fabbisogno.

Per le misure che costano, la delega proverà a trovare un impianto progressivo, che colleghi la loro introduzione all’individuazione dei fondi per finanziarle. Tra queste c’è ovviamente il taglio Irpef, in particolare sulla terza aliquota, che potrebbe provare a farsi spazio nelle prime misure attuative. E l’Irap. Il suo mantenimento «non è più giustificato», spiega con nettezza Franco. Ma la via della fusione con l’Ires è meno semplice di quel che sembra:  perché le platee delle due imposte non sono coincidenti (resterebbero da coprire circa 3 miliardi oggi versati da soggetti che non pagano l’Ires) e perché l’aumento delle aliquote dell’imposta delle società avrebbe una «funzione segnaletica» (ovviamente negativa) per gli investitori stranieri. Lo scoglio Irap, insomma, va affrontato, ma servono «più strade contemporaneamente», e servono risorse che potrebbero sostenere «un riordino anche solo parziale».

La delega promette poi di riportare al centro della scena la riforma dell’Iva, già studiata da anni al Mef ma senza ricadute operative. Sul tema il documento parlamentare è piuttosto sintetico, e non sembra chiudere la porta a una revisione delle aliquote agevolate per trovare il gettito aggiuntivo utile a coprire altri tagli fiscali. Le indicazioni della Ue vanno nella stessa direzione. Ma in linea con i suoi predecessori il titolare dei conti italiani ribatte di non avere in mente «un aumento dell’Iva», ma «una razionalizzazione del numero delle aliquote e anche una ricomposizione dei beni delle varie categorie» che avvenga però a parità di gettito.

Tra le fonti di finanziamento, chiarisce Franco, non ci sarà la patrimoniale. Anche perché le patrimoniali in Italia valgono già il 2,4% del Pil. Un dato in linea con la media Ue.

Verso la riforma del fisco

CUNEO FISCALE

No a riduzioni Irpef
per singole platee

La riduzione dell’Irpef che pesa sul lavoro, in particolare sulla terza aliquota indicata dal Parlamento, è fra le «priorità». La delega non detterà però un modello specifico, perché la scelta fra scaglioni o progressività continua sarà affidata ai decreti. No a interventi su platee specifiche come i giovani.

IMPRESE

Irap da eliminare
ma con le coperture

«Il mantenimento dell’Irap non è più giustificato». La sua eliminazione richiede però coperture. L’accorpamento con l’Ires è un’ipotesi, che però alza le aliquote dell’imposta sulle società e richiede comunque circa tre miliardi per coprire l’Irap oggi versata dai soggetti che non pagano l’Ires

INDIRETTE

Per l’Iva riforma ampia
ma a gettito invariato

Nella legge delega dovrebbe trovare spazio un intervento ampio sull’Iva, con un riordino che guardi anche alla distribuzione dei beni fra le aliquote agevolate e i livelli generali del prelievo. La riforma dovrebbe però essere «a parità di gettito» secondo Franco. La commissione Ue suggerisce invece lo spostamento del carico dall’Irpef all’Iva.

LE ALTRE IMPOSTE

No alla patrimoniale,
bastano le attuali

La delega non parlerà di patrimoniali. Il tema è entrato a più riprese nel dibattito, ma oggi le patrimoniali già in vigore (a partire dall’Imu) valgono il 2,4% del Pil, un valore in linea con la media dell’Unione europea. Nella riforma non ci dovrebbe essere posto nemmeno per gli interventi chiesti dal Pd sulle imposte di successione

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