Imposte

Transfer pricing, rettifica estera con effetti a cascata

di Giacomo Albano e Roberto Esposito

La variazione in diminuzione operata a fronte della rettifica estera sul transfer pricing può avere effetti a cascata sulle transazioni intercompany con imprese residenti in altri Paesi. È una delle possibili conseguenze dello schema di provvedimento delle Entrate - in consultazione pubblica fino a domani 21 marzo - emanato in attuazione dell’articolo 31 quater, comma 1, lettera c) Dpr 600/73.

Il provvedimento disciplina la procedura che le imprese residenti devono seguire per ottenere il riconoscimento di una rettifica del reddito in diminuzione in Italia a fronte di un accertamento conforme al principio di libera concorrenza effettuata da uno Stato con il quale è in vigore una convenzione per lo scambio di informazioni (articolo 110 comma 7 del Tuir).

A tal fine è prevista una procedura in contraddittorio con l’Ufficio accordi preventivi e controversie internazionali (che dovrebbe esaurirsi in 180 giorni), ad esito della quale, se l’Ufficio concorda con la natura «at arm’s length» della rettifica estera, viene disposto il rimborso dell’imposta italiana calcolata sull’imponibile corrispondente alla ripresa estera. Anche se il provvedimento non si esprime sul punto, si ritiene che il riconoscimento della rettifica estera può essere anche parziale.

Un possibile effetto indiretto derivante dall’accoglimento - totale o parziale - dell’istanza, attiene all’applicazione di prezzi di trasferimento differenziati in transazioni intercompany analoghe in Paesi diversi, nell’ipotesi in cui l’impresa italiana intrattenga rapporti infragruppo (caratterizzati dalla stessa analisi di comparabilità) con più controparti estere.

Si ipotizzi il caso di un’impresa manifatturiera residente che vende i propri prodotti sui mercati esteri avvalendosi di società controllate che agiscono quali distributori, acquistando i beni per la successiva rivendita. Si ipotizzi che l’impresa italiana venda i beni alle proprie controllate residenti in tre Paesi europei (A, B e C) ad un prezzo tale da consentire ai propri distributori di conseguire una marginalità ritenuta conforme al principio di libera concorrenza. A seguito della rettifica del transfer price operata in capo alla controllata nel Paese C, l’impresa residente può presentare un’istanza volta ad ottenere il riconoscimento di una variazione in diminuzione in Italia. Se l’istanza viene accolta – e quindi le Entrate riconoscono che il transfer pricing applicato non era conforme al principio di libera concorrenza - si crea, inevitabilmente, una differenza tra i prezzi di trasferimento applicati nelle cessioni dei beni alle controllate residenti nei Paesi A e B rispetto al Paese C.

Tale situazione dovrebbe consentire all’impresa italiana di adeguare spontaneamente per il futuro i prezzi di trasferimento applicati nei confronti di tutte le società del gruppo - quindi non solo quella oggetto di rettifica - senza incorrere in rischi di contestazione da parte delle Entrate. Infatti, benché l’accoglimento dell’istanza non produca gli effetti vincolanti tipici degli accordi preventivi (Apa), si può ritenere che il riconoscimento da parte dell’Ufficio della natura «arms’ length» dei prezzi intercompany non possa essere ignorato in caso di verifica.

Resta tuttavia la possibile distorsione del valore di libera concorrenza in relazione alle annualità coperte dalla procedura. Poiché quest’ultima prevede la possibilità di operare la variazione in diminuzione soltanto a fronte di un accertamento definitivo, ciò comporta l’impossibilità di adeguare spontaneamente i prezzi delle operazioni con i Paesi nei quali non c’è stata una contestazione da parte del Fisco, creando inevitabilmente dei gap nei prezzi applicati in Paesi diversi in relazione alla medesima transazione.

La bozza del provvedimento sul transfer pricing

La bozza del decreto Mef sul transfer pricing

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