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Cessione a corpo, l’Iva al 22% sugli «arredi inclusi» non vale sempre per le soluzioni in muratura

Dopo la risoluzione 25/E/2021 ci si interroga sulle cucine o i lavabi in muratura e sul concetto di «bene finito»

di Giampaolo Giuliani

La cessione di una cucina deve considerarsi come un’operazione distinta dalla cessione dell’unità immobiliare in cui è stata installata e deve essere assoggettata ad aliquota Iva ordinaria. È questa la posizione assunta dall’agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 25/E del 14 aprile 2021 dove viene anche affermato che «una cucina funzionante, completa di tutti gli elementi normalmente impiegati per lo scopo a cui è destinata (elettrodomestici, mobili, sedie, tavoli, cassettiere, mensole, credenze, ripiani, eccetera), sia composta da un insieme di elementi che, complessivamente intesi, non sembrano possedere le caratteristiche proprie dei beni finiti».

La cucina come «pertinenza»

Per quanto riguarda il primo tema affrontato dalle Entrate, si rileva che la cucina debba essere considerata, in base all’articolo 817 del Codice civile, come una pertinenza destinata durevolmente al servizio e/o ad ornamento dell’immobile. In generale gli atti o i rapporti che hanno per oggetto la cosa principale comprendono se non sono escluse, anche le pertinenze. Un classico esempio è dato dalla cessione di un’autovettura senza che ci sia la necessità di citare nell’atto di vendita la ruota di scorta o i kit di emergenza. Beninteso, la vettura può essere ceduta senza ruota di scorta, oppure quest’ultima può essere oggetto di separati atti e rapporti.

Tuttavia, al di là di queste considerazioni sulle pertinenze (peraltro utilizzate dall’amministrazione finanziaria per risolvere problemi di compravendita di garage, box auto, e altre unità immobiliari secondarie), nella disciplina Iva si deve parlare di accessorietà dove si riconosce la possibilità di applicare la stessa aliquota nel caso tra i due beni o servizi vi sia un nesso di dipendenza funzionale (articolo 12 del Dpr 633/1972). Dunque, il bene che assume una posizione secondaria deve possedere un carattere di strumentalità e di complementarità rispetto al bene principale, requisito che nel caso della cucina, intesa come oggetto di arredamento, non viene riscontrato dall’agenzia delle Entrate.

Comunque, nel concordare con la posizione assunta dall’amministrazione finanziaria, si rileva come le cucine possano essere anche realizzate in muratura (qualche anno fa andavano molto di moda), sicché si potrebbe anche sostenere che c’è cucina e cucina, così come ci sono armadi, armadi a muro e cabine armadio. Dare una soluzione univoca avente valenza generale non è dunque possibile.

Il concetto di «bene finito»

Allo stesso modo non è possibile esprimersi in termini assoluti per stabilire cosa è un bene finito. Tuttavia è certo che la cucina non possa essere considerata un bene finito, in quanto non sono presenti i tre requisiti che, ricorda l’Agenzia, sono utilizzati per stabilire cosa è un bene finito e cosa non lo è:

1) il bene non deve essere classificato tra le materie prime e i semilavorati;

2) il bene deve essere «strutturalmente collegato» al fabbricato cui è destinato;

3) l’indicato collegamento strutturale deve consentire, in ogni caso, l’identificazione del bene stesso nonché la sua potenziale riutilizzabilità.

L’evoluzione tecnologica determina incertezza

Ad ogni modo è indubbio che l’evoluzione tecnologica del settore edile che propone prodotti sempre nuovi, determina e determinerà anche in futuro situazioni di incertezza. Solo per fare alcuni esempi, si pensi all’evoluzione dei bagni dove si è passati, dalla presenza dei semplici sanitari ai box doccia, alle vasche idromassaggio, alle saune, e ancora si pensi agli impianti di condizionamento e a quelli più recenti di riciclo dell’aria con recupero del calore che stanno diventando accessori del tutto normali in qualsiasi tipo di abitazione.

Da ciò la necessaria conclusione che le condizioni sopra elencate siano le principali per delimitare il campo di operatività per l’applicazione dell’aliquota ridotta, ma a volte non sono sufficienti. Infatti, beni del tutto simili, o che svolgono la stessa funzione, possono presentare soluzioni ai fini Iva diverse. Basti un semplice esempio: il lavello in acciaio inserito in una cucina componibile non è certamente un «bene finito» bensì un bene di arredamento; il lavello in ceramica inserito nel muro della stanza adibita a lavanderia di un appartamento appartiene indubbiamente alla categoria dei «beni finiti».

Dov’è la differenza? Contrariamente al primo, il secondo lavello è «strutturalmente collegato» al fabbricato, ancorché entrambi assolvano ad una funzione del tutto simile. Ma come risolvere il problema di questi ultimi anni proposto dagli architetti che progettano arredi per bagni dove i lavandini sono realizzati in acciaio e si appoggiano al piano o a un armadietto? A ben vedere ricondurre i vari casi ai principi generali non consente di trovare sempre una soluzione accettabile, cosa che del resto è ben testimoniata dai fiumi d’inchiostro steso in questi anni dalla giurisprudenza, dall’amministrazione finanziaria e dalla dottrina.