Imposte

Il Covid ferma le intese di produttività: aziende caute sui nuovi accordi

Il 2020 è stato l’annno più critico con solo 6.784 contratti depositati contro i 12.099 del 2018. Sul futuro ora anche l’impatto del conflitto ucraino

di Diego Paciello e Serena Uccello

Il 2020 è stato, fra le altre cose, anche l’annus horribilis della contrattazione di produttività. Dopo gli altri indicatori (crescita e occupazione) arriva ora anche questo a confermarci quale pressione l’emergenza pandemica abbia rappresentato per i redditi dei lavoratori. Gli ultimi numeri infatti del periodico report su contratti depositati, pubblicato lo scorso 14 marzo dal ministero del Lavoro, permettono un’analisi completa che va dal 2016, (da quando cioè il ministero ha reso disponibile la procedura per il deposito telematico dei contratti aziendale e territoriali), fino ad oggi.

I numeri

Se consideriamo però gli anni interi (il 2016 parte infatti da maggio) cioè il periodo 2017-2021, vedremo, dopo un triennio che supera decisamente i diecimila contratti depositati, addirittura nel 2018 si toccano i 12.099 accordi, il brusco crollo nel 2020: si passa dagli 11.615 contratti dell’anno precedente a 6.784, quasi un dimezzamento. Cosa è accaduto? Prevedibilmente dinanzi a un situazione dalla incerte prospettive le aziende hanno frenato in attesa di schiarite. Un atteggiamento di cautela che è proseguito, quasi in linea con l’andamento pandemico per tutti il 2021. La contrattazione è ripresa infatti ma i numeri sono ancora lontani dall’anno boom il 2018. Un atteggiamento di cautela che sembra prelevare ancora in questi primi tre mesi del 2022: i 492 contratti depositati in gennaio, i 455 di febbraio e i 236 di marzo sono abbastanza sotto il trend mensile degli anni precedenti: gennaio 2022 non è paragonabile infatti al gennaio 2017 (882 accordi depositati) nè al 2018 (762) o al 2019 (814) ma è persino al di sotto della performance del gennaio 2021 che segnava 547 intese.I 236 contratti di marzo non sono al momento rappresentati perchè riguardano solo i primi giorni del mese.

I nodi

Cosa dunque dobbiamo aspettarci? E soprattutto su quali strumenti si potrebbe intervenire per sostenere la contrattazione? Anche perché l’incremento dei costi della produzione dovuto al conflitto Russia-Ucraina, sta riducendo e, in molti casi, azzerato, le risorse delle imprese finalizzate all’erogazione dei premi di risultato. In questo contesto si apre per le aziende una sfida: come rispettare gli stringenti vincoli normativi che prevedono - quale condizione necessaria per l’applicazione delle disposizioni agevolative previste dalla Legge 208 del 2015 - che l’erogazione dei premi di risultato sia subordinata all’ottenimento di incrementi di efficienza, produttività, redditività, innovazione e qualità?

L’impianto normativo regge ma la cronaca suggerisce un processo di modernizzazione degli strumenti. Sarebbe utile, ad esempio, poter agevolmente subordinare l’erogazione dei premi di risultato al miglioramento della sostenibilità ambientale: a guerra in corso potrebbe anche accelerare il processo di regionalizzazione dell’economia, spingendo le aziende a modificare la localizzazione delle filiere produttive e i sistemi di reperimento delle risorse energetiche e delle materie prime ed anche a sviluppare prodotti in una logica di economia circolare. Si potrebbe usare inoltre come indicatore il miglioramento della gestione ispirata a principi etici e di equità nelle varie declinazioni quali, ad esempio, la riduzione del gender pay gap, la maggior trasparenza delle decisioni e delle scelte aziendali, le tutela delle minoranze e l’implementazione di politiche di gender equality. Ed infine si potrebbe prevedere l’erogazione di premi solo in seguito ad un miglioramento dell’impatto e della relazione dell’impresa con il territorio in cui ha sede o, più in generale, con le comunità con cui opera o entra in relazione.

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