Il CommentoControlli e liti

Processo tributario telematico, le inammissibilità sono solo quelle di legge

di Enrico De Mita

La notifica e il deposito cartaceo (o analogico) del ricorso non può essere causa di inammissibilità del ricorso in re ipsa, a maggior ragione se la controparte si è costituita e difesa nel merito. Come insegna la Corte costituzionale (sentenze 189/2000 e 520/2002), le previsioni di inammissibilità nel processo tributario devono essere interpretate in senso restrittivo, evitando sanzioni di inammissibilità non previste dalla legge.

La questione è stata di recente affrontata dall’interessante sentenza n. 4441 del 15 dicembre 2021 (presidente estensore Labruna) della Ctr Milano (si veda l’articolo su NT+ Fisco), è pacifico che si tratterebbe di un’interpretazione formalistica, priva di un referente normativo, in contrasto con l’esigenza di un giusto processo ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione e dell’articolo 6 della Cedu.

Nella specie, l’Ufficio si costituiva in giudizio eccependo l’inammissibilità del ricorso in quanto non notificato e depositato telematicamente, con violazione dell’articolo 16 bis del Dlgs 546/92. L’Ufficio stesso implicitamente certificava la rituale instaurazione del giudizio. Si è costituito in giudizio. Ha sanato ogni ipotesi di presunta irregolarità.

I principi fondamentali del nostro ordinamento interno e internazionale rigettano, come irrazionale e abnorme, l’eccesso di formalismo, in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 della Costituzione.

Secondo l’assetto teleologico delle forme segnato dall’articolo 156, comma 3, del Cpc la nullità di un atto processuale non può mai essere pronunciata, se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato. Tale principio generale è ineludibile.

Come ricordato dalla Corte nella sentenza 520/2002, in occasione dell’esame di profili di inammissibilità di atti introduttivi di giudizi, sia il legislatore, sia la giurisprudenza di legittimità si sono, in più occasioni, richiamati alla esigenza di non contrastare la realizzazione della giustizia senza ragioni di seria importanza, ed ai criteri di equa razionalità nella valutazione di profili di forma, quando questi non implichino vera e propria violazione delle prescrizioni tassativamente specificate nella legge processuale.

La giurisprudenza costituzionale ha ritenuto non conformi a Costituzione (articoli 3 e 24) le disposizioni legislative che frappongono ostacoli non giustificati da un preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del processo adeguato alla funzione ad esso assegnata, nell’interesse generale, a protezione di diritti soggettivi dei cittadini (113/1963) ovvero che impongano oneri o modalità tali da rendere estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento di attività processuale (63/1977; 47/1964; 214/1974).

Ancora, con la sentenza 189/2000, la Corte, con riferimento al processo tributario e a problemi di inammissibilità, ha riconfermato l’esigenza –rilevante anche sul piano costituzionale – che una norma, che comporti tali problemi, sia in armonia con lo specifico sistema processuale, volto a garantire la tutela delle parti in posizioni di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità in danno del soggetto che si intende tutelare.

Una volta garantite provenienza e corrispondenza dell’atto notificato e depositato, ricostruire motivi di inammissibilità per violazione di norme meramente formali, risulta all’evidenza illegittimo, privo di copertura normativa e non consentito, anzitutto, dai principi fondamentali dell’ordinamento.

La configurazione del processo tributario è assoggettata alla semplificazione delle attività processuali, assorbente di rigidità formalistiche, in un quadro che anche la delega legislativa (articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) riportava alla razionalizzazione e facilitazione dei rapporti tra amministrazione fiscale e contribuente.

Il giudicante deve porre mente non tanto al rispetto di astratte formule di stile, ma al contenuto effettivo dell’atto e al raggiungimento dello scopo.

Alla luce dello stesso articolo 6 della Cedu, le norme processuali non costituiscono il fine del processo. Esse devono interpretarsi in modo da favorire una decisione sul merito, superando l’assunto della primazia del rito rispetto al merito (Cassazione, sezioni unite, 26242/2014).

A norma dell’articolo 6, comma 3, del Trattato di Lisbona i diritti fondamentali, garantiti dalla Cedu fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi fondanti dell’Unione Europea.

Come ribadito dalla Corte di Strasburgo il principio di effettività della tutela giurisdizionale (articolo 6 della Cedu) va inteso quale esigenza che la domanda di giustizia dei consociati debba, per quanto possibile, essere esaminata sempre e preferibilmente nel merito, evitando eccessi di formalismo, in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi. Inoltre, le cause di nullità o inammissibilità si conciliano con l’articolo 6 della Convenzione solo se perseguono un fine legittimo e se esiste un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo avuto di mira.

L’inammissibilità è una sanzione non prevista dalla disciplina sul processo, quand’anche tributario telematico.

La creazione di irragionevoli sanzioni di inammissibilità costituisce la negazione della funzione di garanzia propria del processo tributario e dell’effettività dell’esercizio del diritto di difesa, le quali insieme riaffermano la necessità di interpretare in senso costituzionalmente adeguato la disciplina tributaria processuale e sostanziale (217/2010; 244/09), impiantata stabilmente nei principi costituzionali, anche quando si tratti di processo tributario telematico.