Imposte

Cessioni intra-Ue e esportazioni alla prova documentale

di Giovanni Iaselli e Antonio Tomassini

Meno vincoli per la prova della reale fuoriuscita delle merci dal territorio italiano/Ue per gli operatori italiani che effettuano operazioni Iva verso l’estero (cessioni intra-Ue e esportazioni).
Se per le esportazioni (articolo 8 Dpr n. 633/1972), il coinvolgimento delle dogane implica che la movimentazione debba sempre essere provata dalla relativa documentazione doganale, per le cessioni intra-Ue (articolo 41, Dl n. 331/93), gli operatori hanno margini di manovra più ampi. Quest’ultima norma prevede un regime di non imponibilità Iva per le cessioni a titolo oneroso di beni trasportati o spediti nel territorio di altro Stato membro, effettuate a soggetti passivi Iva comunitari. In merito alle prove che i cedenti sono tenuti a fornire circa la fuoriuscita dei beni, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C-184/05) ha ricordato che spetta agli Stati membri fissare le condizioni per esentare dette cessioni.
L’assenza di una documentazione prescritta in modo tassativo dalla normativa è stata confermata a più riprese dalla stessa amministrazione finanziaria (risoluzioni n. 345/2007, 477/2008, 19/2013 e 71/2014), sia nelle ipotesi di trasporto a cura del cedente che a cura del cessionario (cessioni “franco fabbrica”). Queste ultime operazioni creano maggiori difficoltà, poiché il reperimento della documentazione richiede sempre la collaborazione degli acquirenti comunitari.
L’agenzia delle Entrate, dopo aver affermato la centralità del documento di trasporto (unitamente alla documentazione commerciale, alla documentazione bancaria e ai modelli Intrastat), ha ribadito che la prova di cui sopra potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo. La lettera di vettura internazionale (“Cmr”) è solo uno dei possibili documenti utilizzabili a tale scopo. Tra i mezzi di prova idonei, l’amministrazione finanziaria ha ritenuto valida anche la dichiarazione scritta del cessionario attestante l’arrivo dei beni nello Stato membro di destinazione, posto che, come chiarito dalla Corte di Giustizia, la prova dell’avvenuta cessione intracomunitaria può essere prodotta anche in un momento successivo all’operazione (causa C-146/05).
In sintesi, secondo l’Agenzia, superando inutili formalismi, per le cessioni intra-Ue i cedenti nazionali devono osservare un “comportamento diligente” nella predisposizione del set documentale volto a dimostrare, in sede di verifica, l’effettiva fuoriuscita delle merci dal territorio nazionale e l’assenza di comportamenti fraudolenti.
Approccio sostanzialistico che sembra essersi consolidato anche in seno alla Corte di Cassazione (Cass. 25527/2015) per le triangolazioni comunitarie (articolo 58 Dl n. 331/93) e/o all’esportazione (articolo 8 Dpr n. 633/72), dove il trasporto dei beni è curato dal secondo cedente nazionale. In tali operazioni un operatore nazionale (IT1) cede i beni ad altro operatore residente (IT2) il quale cede a sua volta le merci ad un soggetto passivo comunitario (triangolazione comunitaria) o a un soggetto extra-Ue (triangolazione all’esportazione). Secondo la normativa vigente, anche la cessione da IT1 a IT2 beneficia del regime di non imponibilità se il trasporto è curato dal primo cedente o per suo conto. La Suprema Corte, in linea con la giurisprudenza unionale (causa C-409-04), ha ritenuto irrilevante che il trasporto sia stato curato dal cedente. Ciò che rileva ai fini della non imponibilità Iva è la prova che l'operazione, sin dall’origine e nella sua rappresentazione documentale, sia stata una cessione nazionale comunque realizzata in vista del trasporto al cessionario non residente.

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