Controlli e liti

Incassi a titolo di acconto su prestazioni future: fattura solo con dati certi

Per la Ctr Molise 486/2/2021 non c’è presupposto impositivo se gli elementi rilevanti non sono noti

di Massimo Sirri e Riccardo Zavatta

Agisce correttamente il soggetto che non emette fattura e non applica l’imposta a fronte di somme ricevute a titolo di acconto su future prestazioni. Giunge a queste conclusioni la sentenza 486/2/2021 della commissione tributaria del Molise (presidente Di Lorenzo, relatore Scarano) che conferma la decisione di primo grado.

La vicenda

I giudici di primo grado, pur avendo disconosciuto la natura di finanziamento delle somme in questione (invocata dalla contribuente), avevano comunque affermato la loro esclusione dal campo applicativo Iva, rigettando la pretesa dell’ufficio.

Nel dettaglio la società ricorrente impugnava tre avvisi relativi – rispettivamente – agli anni di imposta 2011, 2012 e 2013 con i quali era stata accertata una maggiore Iva relativa a somme non fatturate, versate da una società cliente a titolo di acconto su prestazioni future e registrate come «anticipi», «accettazioni bancarie» e, in uno dei tre anni, come sopravvenienze attive.

La sentenza

Secondo la Commissione regionale, conformemente a quanto stabilito dalla Cassazione con sentenza 14716/2021, l’incasso di un acconto o l’emissione anticipata della fattura realizzano il presupposto impositivo a condizione che «gli elementi rilevanti della futura operazione siano noti» e l’operazione «sembri certa» a tale data, vale a dire alla data dell’incasso o dell’emissione della fattura.

Se non ricorrono tali circostanze, come potrebbe essere nel caso di una somma versata come caparra o di un importo versato forfettariamente – magari per vincolare il futuro fornitore alla cessione di beni che saranno individuati solo in un secondo momento – l’operazione non è (ancora) rilevante ai fini dell’imposta e non va emessa fattura.

I principi comunitari

La decisione in esame, oltre che allineata ad altri precedenti della stessa corte di Cassazione (fra gli altri, sentenza 10606/2015), appare corretta anche alla luce della disciplina comunitaria.

Il principio per cui l’imposta diviene esigibile solo se sussistono tutti gli elementi che consentono d’individuare la futura cessione o prestazione è stato infatti consacrato nella sentenza C-419/02 e ribadito da successive pronunce della corte di Giustizia europea.

Le operazioni non imponibili

Peraltro, di tale principio occorre tener conto anche in relazione a operazioni che – se e quando saranno realizzate – saranno non imponibili (cessioni all’esportazione o assimilate, cessioni intracomunitarie, servizi internazionali), dal momento che potrebbe essere a rischio il plafond alimentato dalle fatture contestate o addirittura lo status di esportatore abituale.

Il monito opera nei confronti di chi percepisce un acconto (o emette fattura in anticipo rispetto al momento d’effettuazione), il quale dovrà sincerarsi di aver già individuato correttamente l’operazione, ma anche nei riguardi del destinatario della fattura. Tralasciando possibili implicazioni penal-tributarie, quando non è certa l’esecuzione o non sono noti tutti gli elementi della futura cessione/prestazione, la contestazione concerne il diritto di detrazione dell’Iva addebitata nella fattura ricevuta.

Cosa diversa è la genericità del documento in presenza di un’operazione individuata. In quest’ipotesi, infatti, il contribuente può fornire gli elementi che integrano le carenze della fattura (Cassazione 13882/2018), purché effettivamente idonei allo scopo (Cassazione 37208/2021).

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