Imposte

Finanziamenti senza interessi legittimi per il transfer pricing

Apertura nell’ordinanza 13850/2021 della Cassazione ma vanno dimostrate le ragioni commerciali interne al gruppo

Non si esclude che i finanziamenti infruttiferi possano avere cittadinanza nell’ordinamento laddove sia dimostrabile che lo scostamento rispetto al principio di «libera concorrenza» sia dipeso da ragioni commerciali interne al gruppo, connesse al ruolo che la controllante assume a sostegno delle altre società del gruppo. Così si è espressa la Cassazione (ordinanza 13850/2021) in merito a un caso di finanziamenti infruttiferi concessi da una società italiana ad una società «veicolo» del gruppo.

A quanto consta, è la prima volta che i giudici di legittimità si esprimono in merito alla possibilità che, anche in ambito cross border, sia possibile concedere finanziamenti infruttiferi senza che questo sia “sindacato” in maniera per così dire “automatica”. Come si è già avuto modo di osservare (si veda l’articolo), si tratta di una problematica di particolare momento e particolarmente sentita, data l’emergenza sanitaria Covid-19.

I giudici di legittimità hanno osservato che, in caso di finanziamento infragruppo erogato dalla società controllante ad una società «veicolo» estera, l’amministrazione finanziaria deve fornire la prova della transazione ad un tasso di interesse apparentemente inferiore a quello “normale”, quale presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi sul finanziamento, in tutto o in parte non corrisposti, quantificati in base al tasso d’interesse di mercato, la cui determinazione sarebbe una quaestio facti demandata al giudice di merito.

Dal canto suo, il contribuente può fornire la prova contraria, dimostrando l’aderenza del tasso di interesse applicato a quelli di mercato, ovvero, ed è questo il precedente che segna un importante indirizzo da parte dei giudici di legittimità, dimostrando che il finanziamento gratuito è dipeso da «ragioni commerciali» interne al gruppo, connesse al ruolo assunto dalla controllante a sostegno delle consociate.

Sullo stesso tema, sebbene sotto la diversa prospettiva della legittimità comunitaria della normativa in materia di transfer pricing, si è espressa pure la Corte di giustizia Ue (sentenza 8 ottobre 2020, causa C-558/19) secondo cui una normativa, qual è quella italiana che si applica solo ai rapporti cross border, non violerebbe le libertà fondamentali quando il contribuente è messo nella condizione, senza eccessivi oneri, di produrre elementi relativi alle eventuali “ragioni commerciali” per le quali la transazione è stata conclusa.

Il punto nodale consta, quindi, nella individuazione delle «ragioni commerciali» che potrebbero giustificare la mancata applicazione di un «prezzo di mercato».

Potrebbe avanzarsi l’ipotesi che una società decida legittimamente (ed eccezionalmente) di dare “supporto finanziario” ad una propria controllata estera, senza esigere il pagamento degli interessi (o ritardandolo), in presenza, ad esempio, di un conto economico (della consociata) che si trovi in grave deficit o con una redditività precaria. In questo caso, infatti, la mancata sospensione degli interessi potrebbe compromettere la stessa restituzione del finanziamento.

In senso analogo si era espresso il report Ocse del 1979 sui prezzi di trasferimento, secondo cui «se può essere provato che ad un mutuante indipendente sarebbe convenuto rinunciare alla riscossione di interessi o differirne il pagamento, si può ragionevolmente ammettere che imprese associate agirebbero allo stesso modo».

Le nuove linee guida Ocse nulla prevedono sul punto in maniera espressa, mentre il report sulle transazioni finanziarie postula che la corretta applicazione del principio di «libera concorrenza» a un’operazione di finanziamento intercompany impone di verificare preliminarmente la corretta determinazione della struttura del capitale della società finanziata, al fine di verificare se il finanziamento concesso debba essere considerato più propriamente un apporto di capitale.

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