Adempimenti

Dubbio cumulabilità tra Cig ed esonero contributivo

Convivenza possibile secondo il decreto, non in base alla relazione tecnica

di Enzo De Fusco e Cristian Valsiglio

Per l’esonero contributivo in favore dei per i settori del commercio, turismo e stabilimenti balneari si fanno strada tre diverse modalità di applicazione.

In attesa che arrivi l’autorizzazione della commissione europea, l’articolo 43 del decreto legge 73/2021 (Sostegni-bis), che ha introdotto l’agevolazione, sembra andare in contrasto con la relazione tecnica bollinata dalla ragioneria dello Stato creando così incertezza tre le imprese interessate chiamate in queste settimane a scelte difficili per far quadrare i conti del 2021. Il disallineamento tra decreti o leggi e relative relazioni tecniche si è già verificato altre volte nel recente passato.

La norma ha introdotto un esonero contributivo, escludendo i premi Inail, quantificabile nel limite del doppio delle ore di integrazione salariale già fruite nei mesi di gennaio, febbraio e marzo 2021. Il beneficio spetta nel limite della contribuzione complessivamente dovuta ed è sottoposto ad autorizzazione europea nel rispetto del temporary framework.

Gli atti del provvedimento sembrano portare l’interpretazione della norma in almeno tre direzioni diverse.

La prima sembra affermare l’applicazione dell’esonero in modo automatico da parte dell’azienda, in considerazione del fatto che, nel comma 1 dell’articolo 43, il legislatore si esprime nel senso che ai datori di lavoro privati «è riconosciuto» l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali. In questa ipotesi, le aziende godono del beneficio contributivo fino a fine anno e possono in ogni caso cumulare anche le 28 settimane di cassa Covid.

Se ciò fosse confermato, allora anche il blocco dei licenziamenti fissato dal comma 2 seguirebbe la stessa sorte di automatismo fino al 31 dicembre 2021. Ma questa soluzione andrebbe in contrasto con quanto indicato nell’articolo 8 comma 10 del decreto legge 41/2021, in cui si stabilisce che in questi settori il blocco dei licenziamenti termina il 31 ottobre 2021.

Una seconda possibile interpretazione porta verso l’opzione, per l’imprenditore, di fruire dell’esonero e la suggerisce proprio il comma 2 dell’articolo 43 in cui si afferma che «ai datori di lavoro che abbiano beneficiato dell’esonero», presumendo che ci siano dei datori di lavoro che non abbiano beneficiato dello sconto contributivo.

In questo caso, l’impresa potrebbe utilizzare le 28 settimane di cassa Covid con conseguente blocco dei licenziamenti fino al 31 ottobre, ma essa avrebbe anche la possibilità di richiedere espressamente l’esonero contributivo con conseguente estensione del blocco dei licenziamenti al 31 dicembre.

Una terza interpretazione la suggerisce la relazione tecnica al decreto legge 73/2021 a commento dell’impegno di spesa che produce l’articolo 43. Sul punto è stato spiegato che la platea di lavoratori interessati è di 867.200 unità (di cui 222.200 al Sud). Tuttavia, precisa la relazione, «l’ipotesi di base adottata per la quantificazione degli oneri è una percentuale di ricorso all’esonero contributivo per il 60% della platea sopra riportata, mentre il 40% continua a fruire dei trattamenti di integrazione salariale».

Quindi, la relazione tecnica ha quantificato i costi considerando l’esonero contributivo alternativo alla cassa Covid di 28 settimane.

Tutto questo spinge anche l’ufficio studi della Camera e Senato, in un documento del 27 maggio a chiedere di considerare l’opportunità di valutare «in conformità a precedenti previsioni di sgravi contributivi e in relazione al principio di parità di trattamento tra imprese, la formulazione di un principio di alternatività tra la domanda del beneficio in oggetto e la domanda di interventi di integrazione salariale con causale Covid-19».

Resta ora da capire quale sia la scelta finale che adotteranno il ministero del lavoro e l’Inps.

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