Imposte

Rischio blocco per le operazioni in corso

di Christian Montinari e Antonio Tomassini

Le annunciate modifiche all’articolo 20 del Testo unico dell’imposta di registro hanno già prodotto un primo risultato: il blocco delle operazioni in corso. Un effetto paradossale per norme tanto attese dalle imprese e dagli investitori, che andrebbe evitato migliorando la formulazione delle disposizioni contenute nel Ddl di Bilancio 2018, il cui iter di approvazione entrerà nel vivo questa settimana in Senato.

Nel mondo cosiddetto del M&A, anche all’estero, è diventata ormai famigerata la nostra imposta di registro e, in particolare, il suo “costo” aggiuntivo per gli investimenti in Italia a seguito della costante riqualificazione delle operazioni societarie a tale fine. Non c’è interpello sui nuovi investimenti o cooperative compliance che tenga, il rischio di perdersi dentro il castello dell’articolo 20 è sempre dietro l’angolo, qualsivoglia assetto si dia alle operazioni societarie (sia quindi per le circolazioni dirette che per quelle indirette dei complessi aziendali).

Gli investitori e più in generale le imprese si aspettano da tempo che su questa norma venga fatta chiarezza, intesa come regole semplici in fase applicativa e indicazioni certe sulla decorrenza (che avrebbero anche potuto essere emanate in via interpretativa, senza bisogno di una norma di legge). Ebbene, la disposizione inserita nel Ddl di Bilancio 2018 lascia qualche dubbio sotto entrambi i profili. In particolare se da un lato si afferma che le sequenze negoziali non possono più essere qualificate come unico atto perché la norma si applica sulla singola operazione, dall’altro lascia aperta la finestra su riqualificazioni da abuso del diritto e non specifica la relativa decorrenza applicativa .

La conseguenza è che chi in queste settimane deve fare operazioni societarie – in attesa di capire quale sarà la versione definitiva della norma e da quando si applicherà – sta alla finestra, con un effetto di vero e proprio “blocco” delle operazioni in essere.

C’è poi il capitolo contenzioso e rapporti pendenti.

La disposizione del Ddl – nella sua attuale formulazione – non prevede che la stessa si applichi per il passato né si professa come una norma di interpretazione autentica. Tuttavia la relazione accompagnatoria sembra sostenere la sua natura interpretativa. Vi si legge che la novella, con natura «chiarificatrice», è volta a dirimere i «dubbi interpretativi» sulla portata applicativa dell’articolo 20. Inoltre, sempre secondo la relazione, la norma insiste sulle «modalità con cui gli uffici devono effettuare le valutazioni ai fini del controllo in tema di imposta di registro». Affermazioni che creano più dubbi che certezze (si vedano gli altri articoli in pagina).

Anche a voler qualificare la norma come procedimentale – cosa peraltro non scontata – molti nodi rimarrebbero insoluti. È vero che per gli accertamenti successivi alla sua entrata in vigore (che dovrebbe essere il 1° gennaio 2018) la novella si applicherebbe anche su atti registrati in annualità precedenti non ancora accertati. Ma tale lettura accentuerebbe le discriminazioni rispetto ai rapporti ancora non esauriti (cioè accertamenti già emessi e contenziosi pendenti) per i quali invece rimarrebbero tutte le incertezze riflesse in altalenanti orientamenti della giurisprudenza.

Il quadro attuale, in definitiva, non risponde alle esigenze di certezza del diritto necessarie per questo tipo di operazioni. C’è ancora tempo per intervenire e chiarire:

che la norma è di interpretazione autentica e vale per i rapporti non ancora esauriti, anche se oggetto di contenzioso (così si evitano discriminazioni);

che né le sequenze negoziali né atti con effetti e struttura distinti quali cessioni di quote e conferimenti di aziende possono essere liberamente riqualificati ai fini dell’imposta di registro.

Il potere di riqualificazione in capo agli uffici non affonda certo le proprie radici nell’articolo 20 del Tur e sopravvivrà a prescindere dalla novella, ma è giusto che vada confinato a casi limite, dove la sostanza delle operazioni manifesti un intento di palese aggiramento delle regole all’esclusivo fine di ottenere un risparmio di imposta indebito.

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