Diritto

Compensi professionali in prededuzione solo con l’ok al concordato

Con la sentenza 42093/2021 pubblicata il 31 dicembre 2021 le sezioni unite della Cassazione hanno definitivamente ristretto la prededuzione del compenso professionale ai soli concordati ammessi.

di Fabio Cesare

Con la sentenza 42093/2021 pubblicata il 31 dicembre 2021 le sezioni unite della Cassazione hanno definitivamente ristretto la prededuzione del compenso professionale ai soli concordati ammessi.

La prima sezione aveva rimesso al collegio ampliato una controversia che riguardava il credito dell’advisor incaricato della redazione del piano maturato in funzione della ammissione del debitore al concordato preventivo.

Occorreva stabilire se detto credito potesse essere collocato in prededuzione nel successivo fallimento solo a condizione che il concordato preventivo fosse stato aperto o se al contrario, il beneficio potesse essere riconosciuto anche in ipotesi di inammissibilità del ricorso per rinuncia alla domanda, come accaduto nel caso di specie.

Tra gli otto quesiti posti dalla sezione semplice, risultava assorbente la questione della prededuzione ancorata all’ammissione della procedura, e su di essa si è concentrata la monumentale pronuncia delle sezioni unite.

È noto infatti che nel 2021 le sezioni semplici avevano mutato il precedente indirizzo che accordava l’esenzione dal concorso per crediti professionali sorti in funzione o in occasione di una procedura concorsuale secondo il disposto dell’articolo 111 della legge fallimentare (Cassazione n. 639 del 2021).

La decisione in commento sceglie l’indirizzo più restrittivo anticipando la soluzione prevista dall’articolo 66 comma 1 lettera c) del codice della crisi, che limita la prededuzione dei professionisti al solo caso in cui il concordato venga ammesso e per giunta nella misura del 75% del compenso pattuito.

Secondo gli ermellini, non è possibile applicare il criterio dell’occasionalità della prestazione ai crediti sorti durante la procedura pure previsto dall’articolo 111 della legge fallimenrtare, perché verrebbe meno ogni supporto causale alla prestazione che non determini il risultato prefissato dal debitore, l’ammissione della procedura.

In tal caso, la prestazione del professionista nel concordato rinunciato o non ammesso rivelerebbe un’inidoneità causale rispetto alle finalità istituzionali della procedura e pertanto sarebbe immeritevole di ottenere una precedenza processuale rispetto agli altri creditori che ne subirebbero un pregiudizio.

Oltretutto i professionisti della crisi hanno una visuale privilegiata delle possibilità di confezionare una proposta seria: pertanto, essi devono essere in grado più del debitore di comprendere ex ante le chance di giungere al deposito di una proposta ammissibile già nella fase di preconcordato, sì che la successiva rinuncia non può che imporre l’esclusione della prededuzione del loro compenso.

Per quanto ampiamente prevedibile, la direzione assunta dalla Cassazione non pare prendere in dovuta considerazione la circostanza che i professionisti della crisi non possono avere una visione chiara della serietà di una proposta sin dall’assunzione del mandato per il ricorso per preconcordato: il termine concesso dal Tribunale ha proprio la funzione di verificare la possibilità di strutturare un piano credibile e munito di ragionevoli chance di successo.

Il fallimento consecutivo dovrebbe forse essere pragmaticamente considerata una evoluzione fisiologica e non patologica della fase bianca: esso dovrebbe conseguire quale possibile esito della disamina e delle negoziazioni effettuate dai professionisti nel termine concesso dal tribunale.

Diversamente argomentando, i professionisti coinvolti nel tentativo di ristrutturazione avranno un interesse nell’ammissione, con infauste conseguenze.

Gli attestatori perderebbero la loro terzietà, poiché il loro compenso sarebbe ancorato all’ammissione che necessita di una attestazione positiva.

Gli adivsor legali e finanziari dovranno innalzare le proprie pretese per tenere conto del rischio di non essere pagati in funzione di fattori che non rientrano nella loro sfera di controllo, quali l’esito di negoziazioni con i terzi che devono supportare il piano.

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