Imposte

Irpef, giù l’aliquota marginale tra 35mila e 40mila euro

Scende da oltre il 60% al 43 per cento. Convincente il taglio di secondo e terzo scaglione

di Andrea Dili

Le proposte di revisione dell'Irpef formulate dai partiti della maggioranza di governo – taglio delle aliquote e riorganizzazione delle detrazioni, con assorbimento del bonus a favore dei lavoratori dipendenti – definiscono più un intervento di manutenzione che una vera e propria riforma dell'imposta.

Sebbene non siano ancora noti i dettagli delle modalità di revisione delle detrazioni, considerando che la rimodulazione di aliquote e scaglioni impegnerà circa 5,1 dei 7 miliardi previsti, si possono già formulare alcune considerazioni, a cominciare dalla valutazione dei benefici per i soggetti interessati.

In termini assoluti i contribuenti che dovrebbero essere maggiormente beneficiati dalle modifiche sono i lavoratori dipendenti con redditi di 40mila euro e i lavoratori autonomi e i pensionati con redditi di 50mila euro.

Esaminando il complesso delle misure programmate si può ragionevolmente ipotizzare che effetto positivo dei suddetti interventi sarà la riduzione del valore delle aliquote marginali, in particolare quella sui redditi di lavoro dipendente tra 35mila e 40mila euro che passerebbe da oltre il 60% a circa il 43%; mentre suscita qualche perplessità l'ulteriore taglio delle imposte per i lavoratori dipendenti con redditi inferiori a 15mila euro, che già oggi scontano aliquote medie effettive inferiori a quelle della flat tax. La platea dei soggetti Irpef che non pagano alcuna imposta potrebbe, quindi, ulteriormente allargarsi, come quella dei cosiddetti incapienti.

Più convincente appare la decisione di intervenire sul taglio delle aliquote del secondo e del terzo scaglione, anche se l'obiettivo di alleggerire la cosiddetta classe media (recuperando maggiore armonia in termini di equità verticale del sistema) avrebbe potuto essere più efficacemente raggiunto concentrando la riduzione soltanto sul terzo scaglione. Tant'è che avendo ampliato la platea i vantaggi non possono che risultare deboli (inferiori anche ai 960 euro del bonus varato nel 2014).

Rimane ancora irrisolto, invece, il problema dell'equità orizzontale, con la forbice tra dipendenti e autonomi che rimane significativa e, in certi casi, sembrerebbe addirittura allargarsi. A 20mila euro di reddito, ad esempio, un lavoratore dipendente verserebbe una imposta di 2.058 euro contro i 3.928 di un lavoratore autonomo, che sconterebbe una aliquota media effettiva quasi doppia (19,6% contro 10,3%). Una significativa contraddizione in un sistema che secondo i principi dettati dal disegno di legge delega sulla riforma fiscale dovrebbe evolvere verso il modello duale, tenendo dentro l'Irpef i soli redditi di lavoro.

Riprendendo le indicazioni della delega, inoltre, non si può fare a meno di evidenziare come il primo step della revisione dell'Irpef non abbia immaginato alcuna misura atta a incentivare il lavoro dei giovani.

Ulteriore conferma che, sul piano dell'intergenerazionalità, le forze politiche rimangono sensibili più alle esigenze di chi esce che a quelle di chi si appresta a entrare nel mercato del lavoro.

In via generale, infine, occorre evidenziare come gli interventi messi in campo non determinino alcuna semplificazione del modello Irpef, che continuerebbe a essere estremamente frammentato e complesso.

Tale, infatti, non può essere definita né la mera riduzione del numero degli scaglioni né il taglio delle aliquote.

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