Imposte

A rischio gli accordi Italia-Usa contro le doppie imposizioni

di Giammarco Cottani e Paolo Ludovici

Non fosse bastata l’ondata del progetto Beps a sconvolgere la tradizionale architettura della fiscalità internazionale, l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti potrebbe generare un vero e proprio tsunami, concretizzando la prima vera riforma del sistema fiscale americano degli ultimi 30 anni. Ancorché manchi ancora un progetto definitivo, le linee guida sembrano quelle del Blueprint pubblicato l’estata scorsa dai repubblicani. Numerose potrebbero essere le novità e alcune di esse imporrebbero ai gruppi multinazionali con attività negli Stati Uniti un ripensamento dell’intera catena del valore, colpendo soprattutto gli operatori con significative attività di importazione e distribuzione di beni (e servizi) oltreoceano.

Uno dei possibili elementi caratterizzanti la riforma avrebbe ad oggetto la drastica riduzione dell’aliquota dell’imposta (federale) sul reddito delle società dal 35% al 15% o 20%. La riduzione dell’aliquota nominale si accompagnerebbe al passaggio ad un sistema di tassazione territoriale dei redditi di impresa, in forza del quale (i) i proventi derivanti dalle esportazioni verrebbero esentati da imposizione ancorché i relativi costi rimarrebbero deducibili, e (ii) tutti i costi relativi alle importazioni (ad esempio, i cosiddetti Cogs) verrebbero resi indeducibili ancorché i ricavi resterebbero imponibili. Ciò sta a significare, a mero titolo esemplificativo, che nell’ipotesi in cui un distributore residente negli Stati Uniti, parte di un gruppo italiano, vendesse beni per un corrispettivo pari a 100 sul territorio americano e sopportasse costi per importazioni pari a 70, la base imponibile su cui calcolare l’imposta federale sul reddito verrebbe rettificata in aumento per un importo corrispondente ai costi sostenuti (appunto, di 70) attraverso l’introduzione di una “border adjusted tax”. Nell’esempio, la base imponibile sarebbe pari ai ricavi al netto dei soli costi locali.

Proprio il profilo caratterizzante l’introduzione di tale imposta potrebbe rappresentare la scintilla per innescare una vera e propria rivoluzione copernicana, con significativi impatti sul commercio internazionale (a prescindere dagli elementi di eventuale incompatibilità dell’imposta con la normativa internazionale dell’Organizzazione mondiale del commercio) e di riflesso sulle politiche fiscali degli altri Stati.

Sino ad oggi, infatti, la normativa americana assoggetta ad imposizione il reddito prodotto negli Stati Uniti sulla base del principio della fonte di produzione del reddito, mentre le società costituite (incorporated) in Usa vengono tassate sul reddito prodotto all’estero sulla base del worldwide income taxation principle. La proposta repubblicana della “border adjusted tax” sembrerebbe presentare gli elementi tipici di un’imposta indiretta (simile all’Iva), che, qualora implementata, non solo renderebbe indeducibili royalties o management fees pagate da consociate americane a consociate italiane, ma potrebbe addirittura pregiudicare la mera applicazione delle convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni (come quella in essere tra Italia e Stati Uniti), con conseguenti effetti distorsivi in termini di doppia imposizione. Si tratta di effetti simili a quelli da noi già sperimentati con l’Irap.

Altro profilo particolarmente delicato è rinvenibile nell’interazione che il nuovo corso presidenziale intende instaurare con le organizzazioni internazionali. A tale proposito, nonostante l’implementazione del progetto Beps rientri tra le priorità strategiche dell’Ocse per l’anno 2017, le reticenze che l’amministrazione Trump ha espresso nei confronti di tutte quelle iniziative volte a rafforzare la trasparenza nei rapporti fiscali tra amministrazioni pongono a rischio l’implementazione di uno degli elementi chiave del suddetto progetto, quale, ad esempio la ratifica dell’accordo multilaterale per lo scambio del Country-by-Country Reporting (basti pensare che gli ultimi dieci trattati contro le doppie imposizioni negoziati dal Treasury americano non sono stati ratificati dal Senato in ragione dell’opposizione del Senatore repubblicano Rand Paul alle disposizioni in tema di scambio di informazioni).

Da ultimo, le implicazioni fiscali di un’eventuale approvazione della proposta Trump potrebbero generare, come effetto collaterale, anche l’eliminazione delle dinamiche sui prezzi di trasferimento in un’ottica esclusivamente americana. Ciò in quanto la border adjusted tax neutralizzerebbe gli effetti fiscali di tutte le operazioni infragruppo avente carattere transnazionale. Tuttavia, le medesime operazioni andrebbero ad accrescere esponenzialmente il rischio di pianificazioni fiscali aggressive a discapito della base imponibile di altri Stati (come l’Italia) che potrebbero vedere “gonfiati” i costi sostenuti nei confronti di consociate americane. Il tutto in un contesto in cui l’efficacia delle procedure amichevoli convenzionali parrebbe veramente compromessa.

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