Controlli e liti

Clausola «Fob» e spedizione: l’errore sulla competenza di costi e ricavi non è formale

La Cassazione (1016/22): le intese «free on board» vanno sempre esaminate. Irrilevante l’assenza di danno erariale

di Stefano Mazzocchi

Il principio di competenza ex articolo 109 del Tuir non può mai essere derogato dal contribuente, neppure in assenza di danno erariale: lo ha confermato la V sezione tributaria della Cassazione con la sentenza 1016, depositata lo scorso 14 gennaio. Con tale pronuncia, è stata cassata la sentenza della Commissione tributaria di secondo grado che aveva ammesso la possibilità per il contribuente di imputare i costi all’esercizio successivo a quello di spedizione delle merci per il solo fatto della sussistenza di una clausola Fob (free on board), «senza verificare – hanno ammonito i giudici di legittimità – quali fossero in concreto i termini dell’accordo contrattuale tra le parti».

In linea di principio, con questo tipo di clausole il venditore consegna la merce in un porto prestabilito caricandola già su una nave, e il compratore si fa carico del trasporto. Nella prassi commerciale, però, sono frequenti varianti e specificazioni rispetto a questo schema, il che impone di indagare il contenuto dei singoli contratti per stabilire l’esatta competenza fiscale.

La sentenza in commento è importante perché, ad avviso di chi scrive, offre una corretta interpretazione del rapporto tra il principio della competenza fiscale ex articolo 109 del Tuir, e quello – contemplato nello Statuto del contribuente – che esclude l’applicabilità di sanzioni in presenza di “mere violazioni formali” che non conducano a un danno erariale (articolo 10, comma 3, legge 212/2000).

Così statuendo, la Corte ha in buona sostanza implicitamente escluso che la violazione dell’articolo 109 del Tuir conduca ad una “mera” violazione formale, con la conseguente inapplicabilità delle sanzioni tributarie. La mancata osservanza del principio di competenza si tradurrebbe quindi in una violazione di natura sostanziale. Dalla lettura dell’articolo 109 del Testo unico emerge chiaramente che, con riferimento ai beni mobili, ai fini della individuazione dell’effetto traslativo rilevano, a seconda dei casi, la «data della consegna» o la «data della spedizione».

Occorre di conseguenza fare riferimento alla regole civilistiche, che per quanto di interesse sono contenute nell’articolo 1510 del Codice civile. Per effetto del secondo comma della norma, l’effetto traslativo della proprietà di un bene si verifica al momento stabilito dal singolo accordo contrattuale oppure, nel silenzio di quest’ultimo, al momento della sua spedizione. È sulla scorta di tale premessa di natura civilistica che può essere letto il principio fiscale secondo cui «in tema d’imposta sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d’impresa, in caso di acquisto di merce affidata a terzi per il trasporto, ai sensi dell’articolo 1510, comma 2, del Codice civile, a cui la norma tributaria rimanda, l’effetto traslativo si considera verificato alla data della spedizione, quale risulta dai documenti che accompagnano la merce, a meno che le condizioni dello specifico contratto, che è onere del contribuente allegare, non indichino un momento diverso, sicché, in base alla regola generale di cui all’articolo 75 (attuale 109), comma 2, lett. a), del Dpr 917 del 1986, il relativo costo si considera sostenuto e va, quindi, imputato all’esercizio dell’anno in cui il bene è stato spedito» (Cassazione 9 agosto 2016, n. 16771).

L’inderogabilità del richiamato principio di competenza rappresenta un punto fermo nella giurisprudenza della Corte: per la chiarezza espositiva si può citare, per tutte, la sentenza 17 luglio 2014, n. 16349, laddove fu affermato che «in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti negativi, (…) sono inderogabili, non essendo consentito al contribuente scegliere di effettuare la detrazione di un costo in un esercizio diverso da quello individuato dalla legge come esercizio di competenza».

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