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Appalti pubblici e Recovery fund, la Commissione Ue «guida» verso la sostenibilità sociale

La Commissione ha pubblicato un documento per assicurare acquisti di beni e servizi funzionali a un impatto sociale positivo

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di Marina Castellaneta

Gli acquirenti pubblici spendono per gli appalti una cifra superiore al 14% del prodotto interno lordo dell’Unione europea e con i loro acquisti sono determinanti per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità. Non solo, quindi, acquisti al prezzo più basso o con il migliore rapporto qualità/prezzo, ma anche necessità di evitare «impatti sociali avversi durante l’esecuzione del contratto di appalto».

Per assicurare acquisti di beni e servizi funzionali a raggiungere un impatto sociale positivo, la Commissione Ue ha pubblicato sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea del 18 giugno (C 237) una «Guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici», che punta a sensibilizzare gli acquirenti della pubblica amministrazione sulla sostenibilità anche in vista dei numerosi appalti che saranno attivati grazie al Next Generation Eu.

Diffusione di buone pratiche, quindi, che potranno essere un modello per le amministrazioni pubbliche di tutti gli Stati Ue per adottare «un approccio socialmente responsabile nel contesto delle loro procedure di appalto». Il documento – precisa la Commissione – non è vincolante e non pregiudica i diritti e gli obblighi stabiliti nella legislazione Ue, secondo l’interpretazione della Corte di giustizia.

La Guida è un supporto per gli enti pubblici per favorire una ripresa sostenibile, nonché un modello per i privati: essa è articolata in cinque capitoli che vanno dalla preliminare definizione degli appalti pubblici socialmente responsabili alla strategia organizzativa per gli acquisiti sociali. Centrale la fase della valutazione, con suggerimenti sulla procedura da seguire e l’individuazione di modelli nei formulari che possono guidare nella scelta.

Il quarto capitolo è dedicato alla procedura di appalto con esame dei criteri di aggiudicazione, la valutazione delle offerte e la verifica degli impegni, in particolare nei casi di offerte anormalmente basse. L’ultima parte è dedicata alle pratiche da utilizzare «per trasformare gli impegni degli appalti pubblici socialmente responsabili in realtà». In questa direzione, è centrale anche il controllo della catena di approvvigionamento e il monitoraggio degli standard sociali nel campo del lavoro.

Alcune pubbliche amministrazioni sono già sulla buona strada: la Commissione europea ha ricordato, tra gli altri (mancano modelli italiani), il caso della città di Söderhamm (Svezia) che ha previsto di designare almeno due appalti con la specificazione di criteri sociali delle imprese partecipanti. Così la Germania che in un appalto sui criteri di aggiudicazione di appalti per l’approvvigionamento di hardware e servizi informatici ha previsto come requisito di partecipazione la presentazione «di un documento concettuale sui criteri sociali», chiedendo di garantire la conformità di fornitori e subfornitori alle otto convenzioni fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro e assegnando il 10% dei punti previsti a queste aziende.

Obiettivi simili sono stati perseguiti dalle scuole di Monaco con riferimento a un appalto per i pasti. Non solo sono state escluse le aziende che trattavano prodotti in cui era implicato il lavoro minorile, ma una parte del punteggio è stata attribuita tenendo conto della percentuale di alimenti biologici utilizzati e dei requisiti di formazione per il personale di cucina.

Il nodo cruciale rimangono le offerte anormalmente basse per i timori dovuti alla possibilità che non venga garantito il rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro e che queste imprese traggano vantaggio rispetto a quelle che rispettano i requisiti sociali.