Imposte

Marchi e avviamenti rivalutati, deduzione allungata a 50 anni

Si diluisce il periodo di ammortamento. L’alternativa è integrare la sostitutiva o revocare la rivalutazione

Mezzo secolo. È il periodo lungo il quale si dedurranno gli ammortamenti o le minusvalenze di alcune attività immateriali rivalutate fiscalmente nel 2020 grazie all’articolo 110 del Dl 104/20, se sarà confermato l’intervento previsto dall’articolo 191 del Ddl di Bilancio 2022 nella versione trasmessa al Senato. Le alternative, per chi non vuole evitare la stretta, sono la revoca dell’agevolazione o l’integrazione della tassazione sostitutiva già avvenuta (si veda anche la scheda).

Il nuovo quadro (complicato)

L’articolo 191 del Ddl conferma che gli ammortamenti sugli importi rivalutati delle attività immateriali, le cui quote (ex articolo 103 del Tuir) sono ordinariamente deducibili in diciottesimi, possono – in deroga – essere dedotti in quote pari a un cinquantesimo. Lo stesso orizzonte di tempo interessa le minusvalenze realizzate sugli stessi beni e per la stessa rivalutazione. Si tratta, peraltro, di un effetto che sembra pensato per targare il bene e non il soggetto che ha rivalutato: in questo senso depone l’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 191, secondo cui, in caso di trasferimento del bene rivalutato, il cessionario può dedurre «il costo riferibile al residuo valore ammortizzabile del maggior valore» in «quote costanti per il residuo periodo di ammortamento».

La disposizione – oltre a essere iniqua perché interverrebbe ex post per regolare a svantaggio dei contribuenti operazioni già pianificate e attuatesecono certe norme – porterebbe a un’estrema complicazione del sistema. Si pensi a un marchio in carico a 1.000 (valore netto contabile), rivalutato fiscalmente nel bilancio 2020 per 2.000 e ora iscritto per 3.000. La deduzione fiscale dell’ammortamento del bene dovrebbe essere gestita con un doppio binario. Per diciottesimi (ex articolo 103 del Tuir) per la quota di costo storico di 1.000, e per cinquantesimi (ex articolo 191 del Ddl) per il valore rivalutato pari a 2.000.

Ancora più complessa sarebbe la gestione della deduzione fiscale di una minusvalenza realizzata dopo il 2023 sulla cessione dello stesso asset. La minusvalenza attinente ai 1.000, infatti, sarebbe deducibile per intero; mentre quella attinente al valore rivalutato (2.000) per i residui 50esimi, tenuto però conto delle quote di ammortamento dei 50esimi già dedotte dal cedente. Non è chiaro come suddividere la minusvalenza per la quota di costo deducibile ordinariamente e per il maggior valore rivalutato. A tal fine un esempio della Relazione illustrativa, a certe condizioni, sembrerebbe non distinguere le due parti di ammortamento.

Inoltre, l’acquirente sembra dover anch’egli dedurre l’ammortamento del bene acquistato, tenendo conto della regola dei 50esimi residui sul valore rivalutato assumendo lo storico del cedente. E ciò crea un’ulteriore complicazione, perché sia il cedente che il cessionario sembrano tenuti a seguire la regola dei 50esimi sulla deduzione del costo: il cedente sulla minus del marchio rivalutato venduto; il cessionario sul residuo periodo di ammortamento dello stesso bene per la quota rivalutata (al netto della minus dedotta dal dante causa).

Ma anche le correlazioni che governano le diverse regole civilistiche e fiscali rendono l’intervento programmato di difficile applicazione. Basti pensare che un periodo di ammortamento fiscale così lungo mai si concilierà con un piano sistematico di ammortamento civilistico che possa tenere conto della vita utile del bene. Di conseguenza, per le attività immateriali rivalutate avremo un fisiologico doppio binario tra ammortamenti stanziati civilisticamente e altri deducibili fiscalmente, che comporterà complesse valutazioni da parte di amministratori, sindaci e revisori, anche in relazione alla fiscalità differita che inevitabilmente si genererà.

Soluzioni possibili

In questo quadro, le vie d’uscita regolate dall’articolo 191 del Ddl sono due.

1 La prima è la revoca (anche parziale) della rivalutazione fiscale effettuata, con il rimborso dell’imposta sostitutiva versata. Ma è una soluzione che sarà difficilmente adottata, perché si rifletterebbe sulla consistenza dei patrimoni netti delle imprese che hanno rivalutato (per effetto della rilevazione della fiscalità latente passiva), peraltro con costi professionali di progettazione e gestione dell’operazione che sarebbero persi.

2 La seconda è quella di ottenere il riconoscimento ordinario in 18esimi degli effetti fiscali della rivalutazione effettuata, pagando un’integrazione dell’imposta sostitutiva pari a quella stabilita dell’articolo 176, comma 2-ter, del Tuir, scomputata l’originaria sostitutiva da rivalutazione (3%). Sembrerebbe una sorta di affrancamento con costo variabile a seconda della dimensione dell’impresa (con un minimo del 9%). Ed è dubbio se questa seconda opzione sia consentita ai contribuenti in contabilità semplificata che, se ne fossero esclusi, potrebbero anche uscire dal range applicativo dell’articolo 191.

Resta l’auspicio che prima di varare definitivamente la disposizione si faccia un’attenta riflessione sui possibili effetti. Anche in merito alla credibilità del sistema.

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