Contabilità

Retribuzione convenzionale vietata se si fa smart working saltuario in Italia

Niente agevolazione per il distaccato anche se resta all’estero più di 183 giorni

di Marco Strafile

Con l'interpello 590/2021 l’Agenzia delle entrate si occupa delle retribuzioni convenzionali nel caso di lavoratori fiscalmente residenti in Italia che durante l’assegnazione all’estero svolgono smart working occasionalmente nel nostro Stato, a differenza di quanto avvenuto durante l’emergenza Covid.

Il caso riguarda una società residente, parte di un gruppo multinazionale, che ha distaccato una dirigente presso la consociata tedesca dal 1° aprile 2021 al 31 marzo 2023. Le mansioni prevedono che una parte del lavoro venga svolto anche presso le filiali estere presenti in altri Stati; inoltre la dirigente può lavorare in modalità agile sia dalla Germania che da altri Paesi, inclusa l’Italia dove la dipendente potrà svolgere occasionalmente l’attività dalla propria abitazione. La società ha chiesto se tali circostanze - e in particolare quella concernente lo svolgimento dell’attività lavorativa in Italia - possano precludere l’applicazione del regime convenzionale.

In base all’articolo 51, comma 8-bis del Tuir «il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del ministero del Lavoro».

Nell’analizzare la fattispecie l’Agenzia ricorda innanzitutto come il comma 8-bis trovi applicazione a condizione che:

il lavoratore, operante all’estero, sia inquadrato in una delle categorie per le quali il decreto ministeriale fissa la retribuzione convenzionale;

l’attività sia svolta all’estero con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità;

l’attività svolta all’estero costituisca l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente svolta all’estero;

il lavoratore, nell’arco di dodici mesi, soggiorni nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni.

Con riferimento a tale ultima condizione viene evidenziato come il criterio per l’applicazione delle norme interne che regolano la tassazione del reddito di lavoro dipendente sia quello della presenza fisica del lavoratore nello Stato in cui viene effettuata la prestazione.

L’esame del caso prospettato porta l’Agenzia a concludere che «lo svolgimento in Italia dell’attività lavorativa in smart working comporta la presenza fisica della dipendente nel nostro Paese e, conseguentemente, il mancato rispetto della condizione richiesta dal Legislatore nell’ipotesi in cui nell’arco di 12 mesi soggiorni in Italia per un periodo pari o superiore 183 giorni».

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