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Start up innovative, dopo la Brexit effetto domino per le società Uk

Le società britanniche perdono il requisito perché non residenti in Stati membri o in Stati aderenti allo Spazio economico europeo

di Marialuciana Di Santi e Simmaco Riccio

La nozione di start up innovativa comprende anche le società non residenti in possesso dei medesimi requisiti richiesti dall’articolo 25 del Dl 179/2012, a condizione di essere residenti in Stati membri o in Stati aderenti allo Spazio economico europeo (See) e di esercitare nel territorio dello Stato italiano un’attività d’impresa mediante una stabile organizzazione.

A seguito della Brexit, dunque, non sembrerebbero più sussistere i requisiti per la qualifica di start up e/o Pmi innovativa per una società Uk con una sede secondaria Italia. Al termine del periodo di transizione, infatti, Uk e Ue hanno negoziato il Trade and cooperation agreement che si applica a partire dal 1° gennaio 2021. Dal termine del periodo di transizione le società costituite nel Regno Unito sono a tutti gli effetti società di Paesi terzi e non beneficiano dell’articolo 54 del Tfue in tema di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Di conseguenza, secondo la Corte di giustizia europea, gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere personalità giuridica alle società costituite nel Regno Unito che hanno l’amministrazione centrale o la sede principale dell’attività in uno degli Stati membri dell’Unione.

Analogamente, anche le filiali locali di una società costituita nel Regno Unito che si trovano in uno Stato membro dell’Ue, sono filiali di società di un paese terzo e, conseguentemente, si applicherà la corrispondente normativa.

Alla luce di tali cambiamenti normativi, la sede secondaria di società Uk non ha più la possibilità di iscriversi alla sezione “speciale” del registro delle imprese (tesi confermata in una recente risposta ad un parere Mise, al momento non pubblicata). Seguendo tale interpretazione, dunque, anche le branch che risultano iscritte precedentemente alla Brexit non sembrerebbero più dotate dei requisiti necessari atti a garantirne la permanenza dell’iscrizione.

L’effetto Brexit potrebbe comportare, ai sensi dell’articolo 6, comma 1, lettere b) e c) del decreto attuativo del 7 maggio 2019, importanti effetti in capo agli investitori di start up Uk che esercitano in Italia un’attività di impresa mediante una stabile organizzazione.

L’articolo 6 del decreto attuativo disciplina, infatti, il regime di decadenza dalle agevolazioni fiscali. In via generale, il principio sotteso all’individuazione delle fattispecie che generano ipotesi di decadenza delle agevolazioni deriva dalla necessità di dare all’investimento effettuato un periodo minimo di durata pari ad almeno tre anni (holding period). Muovendo da tale assunto, il decreto ha individuato i casi che generano decadenza. Tra essi rientra la perdita di uno dei requisiti previsti dall’art. 25, comma 2, del Dl 179/2012 da parte della start up innovativa, ovvero la perdita della residenza in uno Stato membro o aderente allo See.

Rientrerebbero, infatti, tra le deroghe alle cause di decadenza dall’agevolazione, introdotte dal comma 3 dell’articolo 6, la perdita dei soli requisiti correlati alla naturale scadenza della qualifica di start up innovativa ovvero:

• la scadenza dei cinque anni dalla data di costituzione;

• il superamento della soglia di valore della produzione annua pari a 5 milioni di euro;

• la quotazione su un sistema multilaterale di negoziazione

• l’acquisizione dei requisiti di Pmi innovativa.

La perdita del requisito della residenza, ancorché avvenuta a seguito della Brexit, non rientrando tra le deroghe correlate alla naturale scadenza della qualifica di start up innovativa dovrebbe, pertanto, comportare il recupero del beneficio in capo agli investitori.

Ad ogni modo, anche in questo caso la decadenza opererebbe solo se la perdita del requisito si sia verificata entro tre anni dalla data in cui è stato effettuato il conferimento agevolato.