Imposte

Superbonus in condominio, calcoli complessi sulla superficie residenziale

Per poter agevolare anche le unità non abitative occorre che prevalga l’area degli alloggi. Il caso delle pertinenze

Quando in un condominio prevale la superficie residenziale, il superbonus spetta anche a uffici e negozi – per i lavori sulle parti comuni – ma come va fatto il calcolo? La circolare 24/E si limita a dire che la «superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza ricomprese nell’edificio» deve essere superiore al 50 per cento. Tra i professionisti, i dubbi sono numerosi. Vanno considerate anche le superfici di terrazze, lastrici solari, cantine e soffitte? E la superficie dei box auto accatastati in modo autonomo?

Le indicazioni ufficiali
Nelle risposte fornite a Speciale Telefisco del 27 ottobre, le Entrate hanno affermato che va considerata anche la superficie di eventuali appartamenti accatastati in categoria A/1 (dimore signorili) eventualmente presenti nel condominio. Chiarimento utile, ma di portata residuale, stante la rarità delle unità in A/1.

Nel corso del webinar del 21 ottobre, invece, i funzionari dell’Enea hanno spiegato – con un chiarimento verbale – che il riferimento deve essere la “superficie catastale”.

Pertinenze accatastate a parte
In attesa che le Entrate si pronuncino ufficialmente con un documento di prassi, nel corso di Telefisco è stato anticipato che anche le pertinenze concorrono alla determinazione della spesa massima agevolabile per gli interventi di efficientamento energetico, come numero di unità immobiliari da considerare per determinare il limite di spesa, sebbene non siano servite da impianto di riscaldamento (è stato fatto il caso del condominio con quattro appartamenti e quattro box auto, che considera otto unità ai fini della spesa massima per il 110%).

In analogia a queste conclusioni, le pertinenze dovrebbero considerarsi anche ai fini del computo della superficie. Ma qui il conteggio potrebbe rivelarsi penalizzante (pensiamo al caso in cui nel condominio ci siano due appartamenti e due uffici: i box auto possono far pendere la bilancia dalla parte del non residenziale). Anche per questo sarà necessaria una presa di posizione delle Entrate.

Disallineamento tra catasto e utilizzo
Un’altra situazione piuttosto comune è quella delle unità immobiliari ancora iscritte in categorie abitative (ad esempio, in A/3), ma utilizzate come studi professionali. Un’altra ipotesi – meno frequente – è quella dei loft ricavati dalla trasformazione di laboratori (C/3) e magazzini (C/2), utilizzati a tutti gli effetti come abitazioni, ma ancora in categoria non abitativa.

Per quanto riguarda il criterio da utilizzare per l’individuazione della destinazione residenziale, in assenza di indicazioni puntuali di prassi, si ritiene che se una categoria catastale ascrivibile a immobili commerciali sia senz’altro idonea ad escluderne la destinazione abitativa. Al contrario, quando la categoria catastale è di quelle residenziali, è necessario verificare anche l’effettivo utilizzo dell’immobile, che talvolta può essere impropriamente diverso da quello corrispondente alla categoria stessa, come nel caso di utilizzo quale sede di studio professionale: in tale ipotesi, però, l’unità immobiliare non può essere considerata abitativa. Ricordiamo, infatti, che in base alle norme che disciplinano l’istituzione, la tenuta e l’aggiornamento del catasto, il proprietario è obbligato a denunciare, nei modi previsti dal regolamento e dalle successive disposizioni di legge, le variazioni nello stato e nel possesso dei relativi immobili e quindi anche le variazioni di destinazione (articolo 20 del Rd 652/1939). Tale obbligo è confermato anche dall’articolo 9 del Dm 28/1998, che fa espressamente riferimento alla «variazione nello stato o nella destinazione d’uso». A conferma di ciò, peraltro, le istruzioni sulla cedolare secca (circolare 26/E/2011) fanno venire meno la possibilità di optare per la tassa piatta quando non c’è perfetto allineamento tra l’inquadramento catastale e la destinazione oggettiva.

Nel caso del superbonus – quanto meno a titolo prudenziale e in attesa di indicazioni diverse – conviene considerare come “abitazioni” solo quelle destinate a residenza e iscritte in categorie del gruppo A (eccetto ovviamente la A/10, uffici).

Uso promiscuo
In analogia a quanto già previsto per il bonus ristrutturazioni – per cui quando gli interventi sono realizzati su immobili residenziali adibiti promiscuamente all’esercizio di un’attività commerciale o professionale, la detrazione spetta nella misura ridotta del 50% (risoluzione 18/E/2008 e circolare 19/E/2020) – dovrebbe essere possibile considerare anche per il superbonus interamente come abitazioni questi immobili a uso promiscuo casa-ufficio, limitando la detrazione al 50% della spesa.


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