Controlli e liti

Visto mendace, commercialista colpevole insieme ai clienti

Cassazione: il professionista che rilascia un visto di conformità mendace o un’infedele asseverazione di dati si espone a sanzioni penali, creando un mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento

di Antonio Iorio

Il professionista che rilascia un visto di conformità, leggero o pesante, mendace o un’infedele asseverazione di dati si espone a sanzioni penali a titolo di concorso con il cliente, in quanto crea un mezzo fraudolento idoneo a ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’amministrazione finanziaria.

A ribadire questo principio è la Corte di cassazione, Sesta sezione penale, con la sentenza 30392/2022, depositata il 1° agosto.

La pronuncia trae origine, in estrema sintesi, dalla condanna per dichiarazione fraudolenta con false fatture e indebita compensazione di crediti inesistenti (in entrambi i gradi del giudizio di merito) di un professionista e di vari imprenditori chi compensavano indebitamente crediti Iva generati da falsa fatturazione previa apposizione del visto di conformità.

Il professionista ricorreva in Cassazione, lamentando tra altro che il “visto leggero” fosse un mero riscontro formale, nella specie correttamente apposto, che non garantiva l’effettiva esistenza del credito come evidenziato nella circolare 12/2010 dell’agenzia delle Entrate.

La Cassazione ha evidenziato, innanzitutto, che l’apposizione del visto implica il riscontro della corrispondenza dei dati esposti in dichiarazione alle risultanze della relativa documentazione e alle disposizioni che disciplinano oneri deducibili di oneri, scomputo ritenute, crediti di imposta eccetera.

I controlli sono quindi finalizzati ad evitare errori materiali e di calcolo nella determinazione degli imponibili delle imposte e delle ritenute e implicano la verifica di una serie di elementi (tenuta contabilità, corrispondenza dati eccetera). Nella specie, il commercialista aveva proprio il compito di verificare la rispondenza al vero delle dichiarazioni delle società che avevano posto in essere la frode prima di apporre il visto.

In tale contesto, non assume alcuna rilevanza dirimente quanto previsto dalla circolare 12/2010 nella parte in cui chiarisce che tale verifica non comporta valutazioni nel merito ma solo riscontro formale della corrispondenza in ordine all’ammontare delle componenti positive e negative.

Secondo i giudici di legittimità, nella vicenda non era richiesta al professionista una valutazione di merito. Conta il fatto che egli, in quanto commercialista delle imprese coinvolte e intermediario della presentazione delle dichiarazioni, fosse pienamente consapevole della falsità delle operazioni indicate nelle fatture da cui scaturivano i crediti iva fittizi.

Anche dalla sola analisi formale dei dati indicati nei documenti contabili e fiscali delle aziende coinvolte, si evincevano, secondo la sentenza, rilevanti anomalie con riguardo soprattutto agli ingenti acquisti (che generavano i crediti iva certificati) privi di correlazioni con le rispettive vendite.

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