Controlli e liti

Troppe incertezze per i sostituti d’imposta

di Marco Piazza e Alessandro Savorana

Uno degli aspetti delle sentenze emesse dalla Corte di giustizia nelle “cause danesi” che ha maggiormente colpito è l’affermazione che, alla luce della necessità di far rispettare il principio generale di divieto di pratiche abusive, le autorità nazionali devono negare il beneficio dei diritti previsti dalle direttive, invocati fraudolentemente o abusivamente anche in assenza di disposizioni anti-abuso, nazionali o convenzionali (cause riunite C-116/16 e C-117/16, par. 83 e C-115/16, C 118/16, C 119/16, C 299/16, par. 111). Peraltro, per l’Italia il problema non dovrebbe porsi perché per quanto riguarda i dividendi, l’articolo 27-bis, comma 5, del Dpr 600/73 contiene uno specifico rinvio alla clausola antielusiva generale di cui all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuente; per quanto riguarda gli interessi e le royalties, dopo l’abrogazione dell’articolo 37-bis del Dpr 600/73 – che contemplava la materia nella lettera f-ter del comma 3 – si deve intendere che si applichi ugualmente l’articolo 10-bis dello Statuto.

Un altro aspetto molto importante delle sentenze consiste nello sforzo di fornire (si vedano, rispettivamente, paragrafi 98 e seguenti e 125 e seguenti delle due sentenze) una elencazione di “indizi” idonei a caratterizzare le pratiche abusive (si veda la scheda in alto). Trattandosi di una elencazione (certamente non esaustiva) di indizi da esaminare, peraltro, nel complesso e caso per caso, non vi è dubbio che venga richiesta sia ai contribuenti, sia all’amministrazione finanziaria una capacità di analisi piuttosto sofisticata, il che è causa inevitabile di incertezza.

La posizione più delicata, a questo proposito, è quella del sostituto d’imposta che a volte, oltre a tutto, non è una società appartenente al gruppo (le direttive si applicano anche a consociate non controllate) o addirittura non coincide con il debitore del provento (si pensi al caso dei dividendi distribuiti da società con titoli dematerializzati). In questi casi, le informazioni disponibili sul percettore del provento possono essere carenti e non è quindi per nulla facile comprendere se si sia in presenza di costruzioni di puro artificio. D’altro canto, l’Amministrazione finanziaria – quando non ritiene che siano applicabili le esenzioni previste dalla legge interna, dal diritto comunitario o dalle convenzioni contro le doppie imposizioni – solleva la contestazione in primo luogo nei confronti del sostituto l’imposta considerando, in genere, il sostituito come “coobbligato” (si veda, per l’Italia, l’articolo 35 del Dpr 602/1973).

Di norma, il sostituto d’imposta applica le ritenute ridotte previa acquisizione di una certificazione di residenza fiscale rilasciata dalle autorità estere accompagnata da un’attestazione del percettore del reddito riguardo alla sussistenza di tutte le altre condizioni previste dal trattato, dalla direttiva o dalla legge nazionale. Uno schema che può essere utilizzato è quello contenuto nel provvedimento 10 luglio 2013. Ma questo schema di autocertificazione non contiene alcuna attestazione riguardo al fatto che la società estera che percepisce il reddito non faccia parte di una costruzione di puro artificio.

Il sostituto d’imposta non può essere messo di fronte all’incertezza sulla spettanza del beneficio, optando per l’applicazione della ritenuta piena, così costringendo il contribuente non residente a chiedere il rimborso al Centro operativo di Pescara con i risultati noti a chi ha fatto questa esperienza.

Non potendosi, comunque, escludere in questo caso l’applicazione di sanzioni amministrative, l’inconveniente potrebbe essere evitato stabilendo che nel caso in cui lo sgravio delle ritenute sia negato dall’agenzia delle Entrate laddove accerti effettivamente un abuso, le penalità siano applicate direttamente nei confronti del contribuente, lasciando indenne il sostituto d’imposta, oltre al recupero delle imposte non applicate. Questo almeno nei casi in cui il contribuente risiede in uno Stato con il quale esiste un accordo di collaborazione, anche convenzionale, per l’accertamento e la riscossione dei tributi.

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