Professione

Oro, operatori professionali senza obblighi Oam

di Walter Marazzani, area fiscale Confindustria Federorafi

Una recente faq del Mef (clicca qui per consultarla) ha creato molto allarmismo nella filiera di approvvigionamento e di produzione del gioiello che, si ricorda, rappresenta una delle eccellenze del made in Italy con un fatturato di oltre 7,5 miliardi di euro all’anno per quasi 8.000 imprese di produzione, in maggioranza Pmi.

Premessa generale

Poiché in Italia non esistono miniere d’oro, la materia prima preziosa che viene poi utilizzata nel processo produttivo, è importata in forma grezza, affinata e fusa, al fine di produrre ad esempio dei lingotti o altri prodotti/semilavorati, che vengono poi destinati alla filiera industriale per le successive lavorazioni.

Tuttavia con l’affermarsi, dai primi anni Duemila, dei negozi di raccolta dell’oreficeria usata, i cosiddetti «compro oro», si è andato via via sempre più affermando, da parte degli operatori professionali in oro (Opo), che appunto si pongono al vertice iniziale della filiera con le prime affinazioni e lavorazioni, l’uso di acquistare la materia prima o, come viene chiamata dagli addetti ai lavori, il «materiale d’oro» o «scrap gold», proprio dai «compro oro», i quali, con le dovute proporzioni e peculiarità, stanno all’industria orafa come i raccoglitori di materiale ferroso stanno all’industria metalmeccanica.

Tali acquisti degli Opo vengono fatti ovviamente in modo massivo con l’unico interesse di ricavarne la materia prima preziosa.

Naturalmente, dato il particolare contesto, più sensibile di altri ad essere soggetto a fenomeni criminosi, la normativa antiriciclaggio ha rigidamente disciplinato sia l’attività dei «compro oro» che quella degli Opo. In particolare gli obblighi degli Opo sono disciplinati nella più generale disposizione di cui al Dlgs 21 novembre 2007 n. 231, poi aggiornato nel 2017, mentre quelli dei «compro oro» hanno subito espressa regolamentazione con finalità di contrasto al riciclaggio ed altri fenomeni criminosi, con il Dlgs maggio 2017 n. 92.

Faq del ministero

Questo il necessario inquadramento generale, ma veniamo alla faq citata all’inizio.

La domanda fatta al Mef, in sintesi, chiedeva a quali obblighi deve soggiacere un Opo «laddove acquisti oggetti preziosi usati da compro oro o da gioiellerie al fine esclusivo di fonderli».

L’incipit della risposta qui analizzata è la seguente: «Gli operatori professionali in oro che svolgono o intendono svolgere l’attività di compro oro... sono tenuti all’iscrizione nel registro degli operatori compro oro... (il registro Oam, ndr)».

Fin qui nulla da eccepire, se un Opo intende fare l’attività di «compro oro», ossia il commercio di «oggetti preziosi usati» secondo la definizione ricavabile dalla sentenza della Corte costituzionale n.121 del 1963 (che ha qualificato come «usati» gli oggetti dopo un primo acquisto da un privato non operatore professionale, anche se nuovi da un punto di vista sostanziale, fisico ed economico; si veda la circolare del ministero dell’Interno n. 12020(1) del 29 novembre 2017), è ovviamente tenuto ad uniformarsi agli obblighi di regolamentazione di cui alla predetta categoria di commercianti.

L’allarme di cui si parlava prima proviene invece dalla successiva statuizione della faq: «Pertanto sono tenuti all’iscrizione nel registro (Oam, ndr) gli operatori professionali in oro anche laddove acquistino oggetti preziosi usati da compro oro o da gioiellerie al fine esclusivo di fondere tali oggetti».

Tale conclusione non può essere condivisa ed anzi, non ce ne voglia il Mef, appare errata.

Gli Opo infatti, sono tenuti alla predetta iscrizione solo se intendano esercitare l’attività di «compro oro», l’obbligo di iscrizione al registro Oam, ai sensi dell’articolo 3, comma 6, del Dlgs 92/2017, così come tutti gli altri obblighi previsti dal medesimo disposto legislativo, compete solo a chi svolge l’attività di «compro oro».

Gli operatori professionali in oro che svolgano la loro usuale attività industriale e che non è certo, come visto, quella di commercio di oggetti preziosi usati per i quali non hanno alcun interesse se non per la materia in essi contenuta, sono soggetti alla normativa antiriciclaggio di cui alla legge 231/2007 e non hanno alcun obbligo di iscrizione al più volte citato registro Oam.

Le Linee guida elaborate da Confindustria Federorafi nel 2018 a tal proposito hanno ben chiarito, tra gli altri, il punto. Preme infine sottolineare come il settore del prezioso in Italia tende oggi a privilegiare le filiere di metalli preziosi già fuori terra, connesse cioè al recycling, inteso come rigenerazione e riutilizzo. In termini economici e in particolare ambientali, queste filiere si dimostrano uno dei migliori e più riusciti esempi di economia circolare. L’attività di «compro oro» e di Opo si integra perfettamente in questo modello economico, contribuendo ad una modalità di sourcing, rispettosa degli standard internazionali più autorevoli e che per molti grandi produttori e Pmi unbranded di gioielleria rappresenta un modello di sostenibilità.

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