Imposte

Mini-Ires, rischio penalizzazioni se ci sono perdite di esercizio

di Alessandro Saini

La mini-Ires nella versione rivista dal Dl 34/2019 (cosiddetto “decreto crescita”) risulta penalizzante in presenza di perdite di esercizio. Le perdite neutralizzano, infatti, gli utili accantonati a riserva di precedenti o successivi esercizi richiedendo pertanto, per poter risultare agevolabili, interventi di capitalizzazione da parte dei soci. L’articolo 2 del Dl 34/2019 è intervenuto sostituendo l’agevolazione Ires introdotta dalla legge di bilancio 2019 con un nuovo incentivo di più semplice applicazione che mantiene l’obiettivo di incentivare gli utili non distribuiti. La nuova agevolazione che, come la precedente, si applica dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018, prevede la riduzione dell’aliquota Ires ordinaria, a regime (dal periodo d’imposta 2022) di 3,5 punti percentuali mentre, per i periodi d’imposta 2019, 2020 e 2021, rispettivamente, nella misura di 1,5, 2,5 e 3 punti percentuali. Riduzioni analoghe si applicano agli imprenditori individuali, alle società in nome collettivo e in accomandita semplice e, più in generale, ai soggetti Irpef in regime d’impresa in contabilità ordinaria. L’agevolazione spetta per un importo pari agli utili di esercizio accantonati a riserva, nei limiti dell’incremento di patrimonio netto. Nello specifico, rilevano gli utili realizzati a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018 e accantonati a riserva, ad esclusione delle riserve di utili non disponibili, intendendo per tali le riserve formate con utili non realmente conseguiti, ai sensi dell’articolo 2433 del Codice civile, in quanto derivanti da processi di valutazione. Gli utili accantonati a riserva rilevano, tuttavia, nel limite dell’incremento di patrimonio netto, determinato dalla differenza tra il patrimonio netto risultante dal bilancio d’esercizio del periodo d’imposta di riferimento, senza considerare il risultato del medesimo esercizio (sia positivo che negativo), al netto degli utili accantonati a riserva, agevolati nei periodi di imposta precedenti, e il patrimonio netto risultante dal bilancio d’esercizio del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2018, senza considerare il risultato del medesimo esercizio (anche in questo caso, sia positivo che negativo). Per ciascun periodo d’imposta, la parte degli utili accantonati a riserva agevolabili che eccede l’ammontare del reddito complessivo netto dichiarato è computata in aumento degli utili accantonati a riserva agevolabili dell’esercizio successivo. Come indicato nella relazione illustrativa, si tratta di un meccanismo di tipo forfettario che lavora “per masse” e che consente la computabilità degli utili accantonati soltanto nella misura in cui, rispetto al 31 dicembre 2018, si sia verificato un incremento patrimoniale. A tal fine, sono da escludere dai patrimoni netti da confrontare i risultati di periodo e, per quanto riguarda il patrimonio netto del periodo d’imposta di riferimento, gli utili accantonati a riserva, agevolati nei periodi di imposta precedenti. Obiettivo di tale ultima esclusione è evidentemente quello di evitare che utili accantonati a riserva e già agevolati in precedenti periodi possano risultare nuovamente agevolabili. In presenza di perdite di esercizio, il meccanismo applicativo risulta però penalizzante in quanto le perdite determinano una permanente sterilizzazione degli utili accantonati a riserva agevolabili, che può essere superata solamente mediante interventi di capitalizzazione da parte dei soci. Si consideri, ad esempio, il caso di una società con patrimonio netto al 31 dicembre 2018 pari a 1.000, al lordo di una perdita di 100. Si ipotizzi ancora che la società presenti un utile per il periodo 2019 di 100 accantonato a riserva nel 2020 e un utile per il medesimo periodo 2020 sempre di 100. In questo caso, nessuna agevolazione spetterebbe non solo nel periodo 2019 (in assenza di utili accantonati a riserva in tale periodo) ma neanche nel periodo 2020. In quest’ultimo periodo, infatti, l’utile del 2019 di 100 accantonato a riserva nel 2020 non sarebbe agevolabile in assenza di un incremento di patrimonio netto rilevante (PN 2020: 1000 = PN 2018: 1.000). Se l’utile del 2020 di 100 fosse accantonato a riserva nel 2021 e anche nel periodo 2021 la società presentasse un risultato positivo (per ipotesi ancora pari a 100), quest’ultimo sarebbe agevolabile. Gli utili accantonati nel 2020 e nel 2021, per importo complessivo pari a 200, sarebbero pertanto agevolabili solo in parte, nel limite dell’incremento del patrimonio netto rilevante pari a 100 (PN 2021: 1100 = PN 2018: 1.000). Al fine di poter agevolare interamente gli utili accantonati a riserva nei periodi 2020 e 2021, pari a 200, la società sarebbe quindi costretta ad effettuare versamenti a copertura perdite in tali periodi di importo pari a 100, nonostante ciò non sia necessario in quanto le perdite sono già state coperte dai successivi utili. L’incongruenza risulta ancor più evidente ove si consideri che la stessa si presenterebbe anche qualora le perdite seguissero periodi con utili accantonati a riserva. Il percorso di conversione del decreto crescita potrebbe essere l’occasione per porre rimedio a questa penalizzazione.

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