Controlli e liti

Spetta al Fisco dimostrare l’abuso del diritto comunitario

di Marco Piazza e Alessandro Savorana

La giurisprudenza della Corte di giustizia mette a fuoco i limiti delle libertà di stabilimento e di circolazione dei capitali sancite dal Trattato sul funzionamento dell’Unione e del campo d’applicazione dei benefici previsti dalle direttive “madri e figlie” e “interessi e royalties”.

Restrizioni legittime

È un principio ormai consolidato che una restrizione alla libera circolazione dei capitali può essere giustificata, nel rispetto del principio di proporzionalità, anche dalla necessità di prevenire l’evasione e l’elusione fiscale se riguarda specificamente le costruzioni di puro artificio, prive di effettività economica, create con lo scopo di eludere l’imposta normalmente dovuta sui redditi generati da attività svolte nel territorio nazionale di uno Stato membro.

Si vedano, da ultimo:

la sentenza C-135/17 del 26 febbraio 2019 , paragrafo 73, compresa la giurisprudenza citata, in materia di legislazione sulla tassazione per trasparenza dei redditi delle società estere partecipate localizzate in Paesi a bassa fiscalità;

la sentenza C-685/16 del 20 settembre 2018 , sul caso in cui l’esenzione degli utili provenienti da Paesi extraue venga subordinata a condizioni più rigorose di quelle richieste per gli utili di fonte interna.

La cause «danesi»

È anche consolidato il principio secondo cui uno Stato membro deve negare il beneficio di disposizioni dell’Unione laddove queste vengano invocate essenzialmente al fine di beneficiare di un indebito vantaggio; non quindi al fine di realizzare le finalità delle disposizioni medesime, bensì al fine di godere di un vantaggio derivante dal diritto dell’Unione anche quando le condizioni per poterne godere siano attuate solo formalmente, attraverso operazioni puramente artificiose prive di qualsiasi giustificazione economica e commerciale. In questo senso si veda la giurisprudenza citata nelle cosiddette “cause danesi” (cause riunite C-116/16 e C-117/16 del 26 febbraio 2019, par. 70-73 e 98 e C-115/16, C 118/16, C 119/16, C 299/16, del 26 febbraio 2019, par. 96-98 e 125), riferite all’esenzione da ritenute dei dividendi, interessi (e royalties) corrisposti a consociate residenti nell’Unione europea.

Il principio generale

In definitiva è immanente un principio generale del diritto Ue al divieto di pratiche abusive e della necessità di far rispettare tale principio nell’ambito dell’attuazione del diritto Ue, e l’assenza di disposizioni anti-abuso, nazionali o convenzionali, è irrilevante rispetto all’obbligo, per le autorità nazionali, di negare il beneficio dei diritti invocati fraudolentemente o abusivamente.

Anche se in contesti diversi (giustificazione delle restrizioni alle libertà di stabilimento e movimento dei capitali, da un lato, e obbligo di disapplicare i benefici previsti dalle direttive, dall’altro), denominatori comuni di tutte le sentenze in materia sono (i) il disvalore attribuito alle «costruzioni di puro artificio» e (ii) la statuizione che spetta all’amministrazione dimostrare la sussistenza di elementi costitutivi di una tale pratica abusiva (si vedano rispettivamente i paragrafi 117 e 142 delle due sentenze) con l’effetto che per verificare se un’operazione persegue un obiettivo di frode e di abuso, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell’operazione interessata.

Non è quindi ammessa una norma avente portata generale, che disponga una presunzione di frode e di abuso che pregiudichi gli obiettivi di una direttiva, né tantomeno un provvedimento fiscale che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato, senza che l’amministrazione sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova o di indizio di frode e abuso, eccederebbe quanto necessario per evitare le frodi e gli abusi (cause riunite C-504/16 e C-613/16, par. 69, C-440/17, par. 44 e giurisprudenza ivi citata, C 6/16 par. 36).

Le norme italiane

Sotto quest’ultimo aspetto, la legislazione italiana – anche nella versione emendata con il Dlgs 142 del 2018 – presenta aspetti di non conformità al diritto dell’Unione. Sia l’articolo 167 del Testo unico – riguardante la tassazione delle società estere controllate (Cfc) – sia l’articolo 73 – riguardante la presunzione di residenza in Italia di alcune entità estere – sia, infine, gli articoli 47, 89 e 87 sui dividendi e le plusvalenze riferibili a società localizzate in Paesi a fiscalità privilegiata, si caratterizzano per il fatto di prevedere una illegittima inversione dell’onere della prova a carico del contribuente che scatta in presenza di circostanze predeterminate.

Il tema è stato oggetto di un’apposita denuncia presentata dall’Aidc di Milano alla Commissione europea (si veda il Sole 24 Ore del 3 ottobre 2018) allo stato in corso di esame e valutazione.

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