Imposte

Ristrutturazioni d'impresa alla prova della riduzione dei debiti

di Benedetto Santacroce

L'estensione anche ai nuovi strumenti di composizione concordata delle crisi d'impresa, quali gli accordi di ristrutturazione in base all'articolo 182 bis della legge fallimentare. ovvero i piani attestati di risanamento (articolo 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare), del regime di detassazione della riduzione dei debiti, intervenuta con il Dl 83/2012, non ha ancora trovato una interpretazione univoca circa la natura, il calcolo e la corretta imputazione delle somme escluse dalla tassazione. In particolare, la modifica dell'articolo 88, comma 4, del Tuir, ad opera del citato decreto, ha stabilito che in caso di accordo di ristrutturazione dei debiti ovvero di un piano attestato di risanamento, la riduzione dei debiti non costituisce sopravvenienza attiva per la parte che eccede la perdite pregresse e di periodo di cui all'articolo 84 del Tuir. In tal modo il legislatore ha parzialmente parificato il trattamento della riduzione dei debiti intervenuta in tali procedure con quanto previsto per la medesima riduzione nell'ambito del concordato fallimentare o preventivo, dove però la detassazione è generale ed indipendente dalle perdite subite.
Come evidenziato anche da Assonime nella circolare 33/2010, appare utile evidenziare in primo luogo il carattere di esclusione (la non tassazione costituisce una agevolazione tesa a non tassare elementi che altrimenti lo sarebbero) e non di esenzione (la non tassazione colpisce elementi estranei al presupposto dell'imposta) della disposizione in parola. La corretta qualificazione della stessa è infatti non irrilevante in quanto le esenzioni a differenza delle esclusioni incidono sul pro-rata di deducibilità delle spese generali di cui all'articolo 109, comma 5, del Tuir. Criticità sul punto derivano dal fatto che nella relazione di accompagnamento alla bozza di testo unico il legislatore nel caso di concordato preventivo senza cessione di beni abbia evidenziato come la riduzione dei debiti, in realtà, costituisca una sopravvenienza attiva che va detassata per non rendere più difficoltoso il concordato stesso. In realtà, come osservato già da Assonime, tale conclusione non potrebbe essere ribaltata automaticamente sulla novella relativa alle procedure di ristrutturazione e risanamento in quanto, in tal caso, la detassazione non sarebbe totale ma limitata alla parte eccedente le perdite deducibili, per cui volendo analizzare la norma in termini di esenzione si giungerebbe all'instaurazione di un rapporto di dipendenza reciproca tra variabili fiscalmente rilevanti. Ulteriormente sembra non potersi mettere in dubbio il fatto che, nella determinazione della riduzione dei debiti esclusa da tassazione, si debba procedere attraverso l'imputazione delle perdite di periodo e pregresse, in primo luogo avverso il reddito prodotto nell'anno al netto di tale riduzione e, quindi, solo successivamente, imputare l'eventuale restante perdita a parte dei debiti cancellati a seguito delle procedure in parola. Ne deriva che, nel caso in cui nell'anno in questione si verifichi un reddito pari alle perdite deducibili, la riduzione dei debiti sarà per l'intero non qualificabile quale sopravvenienza attiva. In ultimo giova sottolineare come, con riguardo all'esercizio in cui l'ammontare dei debiti ridotti debba essere preso in considerazione, non possa non ammettersi la loro non imponibilità anche negli esercizi successivi qualora la riduzione stessa non possa imputarsi correttamente all'anno in cui l'accordo o il patto è concluso in quanto dipendente da eventi futuri ed incerti. In tal senso si ritiene di competenza degli anni successivi l'eventuale riduzione di compensi dovuti per prestazioni da ricevere, essendo la stessa strettamente dipendente dal previo svolgimento delle prestazioni stesse.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©