Controlli e liti

Spese antieconomiche: per la prova servono elementi forti

di Rosanna Acierno

La contestazione sull'inerenza dei costi deve rappresentare i motivi per i quali non vi sarebbe alcun legame tra la spesa sostenuta e dedotta con l'attività esercitata. Quando invece si ridetermina al ribasso una spesa perché ritenuta troppo alta, l'ufficio è chiamato a provare l'antieconomicità del costo attraverso una serie di presunzioni gravi, precise e concordanti, ossia mediante elementi e circostanze che rendano abbastanza probabile il comportamento evasivo presunto. È quanto emerge dalla sentenza 267/02/2014 dalla Ctp Reggio Emilia (presidente e relatore Massimo Crotti).

La sentenza trae origine da alcuni avvisi di accertamento con cui l'amministrazione finanziaria ha recuperato a tassazione i costi sostenuti da una Srl negli anni di imposta 2008-2011 per l'acquisto di beni e servizi prestati da altre società appartenenti allo stesso gruppo in quanto ritenute non inerenti all'attività svolta e al tempo stesso antieconomici.
La società ha presentato ricorso in Ctp che è stato accolto. La Commissione ha precisato che l'ufficio non ha provato attraverso presunzioni gravi, precise e concordanti l'antieconomicità delle spese dedotte dalla società ricorrente e, dunque, il reale intento di evasione fiscale, né ha rappresentato i reali motivi per i quali non vi sarebbe alcun legame tra la spesa sostenuta e dedotta e l'attività esercitata.

Inoltre, secondo il collegio provinciale, le contestazioni in merito alla presunta condotta antieconomica consentono soltanto la rettifica delle imposte dirette, ma non anche quella ai fini Iva. In caso contrario, infatti, si violerebbe il principio di neutralità previsto dalla direttiva e confermato dalla giurisprudenza comunitaria. In altre parole, non si può negare la detrazione dell'Iva assolta sugli acquisti solo sulla base di una presunta antieconomicità dell'operazione.

Infine, l'eventuale contestazione di prezzi di trasferimento da parte dell'amministrazione finanziaria e la conseguente attribuzione del valore normale dei costi infragruppo può riguardare solo i casi di transazioni internazionali. Soltanto in presenza di scambi di beni o servizi tra società con sedi in Paesi diversi, infatti, si può configurare l'interesse a trasferire reddito in aree geografiche a tassazione più agevolata. Pertanto, in assenza di illeciti di altra natura, sono escluse dall'accertamento sui prezzi di trasferimento gli scambi di beni e servizi tra imprese nazionali appartenenti allo stesso gruppo. In tal caso, infatti, anche se in assenza di bilancio consolidato, la società che ha dedotto il costo per l'acquisto di un bene o di un servizio ha risparmiato imposte, mentre quella che lo ha fornito e, dunque, fatturato le ha dichiarate e versate.

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