Controlli e liti

L’alleanza anti-sommerso con le piattaforme digitali

di Davide Rotondo e Dario Sencar

Le piattaforme della “sharing and gig economy” stanno emergendo come un nuovo modo di impiegare beni e competenze mettendo in contatto nel mondo digitale, senza confini geografici, chi ha un bisogno ( user ) con chi è in grado di soddisfarlo (platform seller). Nel far questo le piattaforme digitali raccolgono dagli utenti i dati necessari, che possono variare da piattaforma a piattaforma o anche in base alle varie legislazioni nazionali.
Varie giurisdizioni hanno già iniziato a richiedere unilateralmente alle piattaforme la fornitura dei dati (sul seller e sull’operazione). Di qui l’interessamento dell’Ocse già al lavoro per coordinare e rendere omogenee le forniture di dati a livello globale, anche per ridurre gli oneri di adempimento degli operatori e rendere possibile un sistema di scambio automatico sulla falsariga di quello già in essere sulle informazioni finanziarie (Common reporting standard – Crs). Il progetto dovrebbe sfociare entro la fine dell’anno nelle prime bozze di legislazione modello e di accordi per lo scambio automatico di informazioni.


Le piattaforme della “sharing and gig economy” (si pensi a titolo meramente esemplificativo a Uber, Airbnb ed Amazon marketplace) stanno emergendo come un nuovo modo di impiegare beni e competenze, altrimenti magari stagnanti, mettendo in contatto nel mondo digitale, senza confini geografici, chi ha un bisogno (user) con chi è in grado di soddisfarlo (platform seller). Nel far questo le piattaforme digitali raccolgono dagli utenti i dati necessari, che possono variare da piattaforma a piattaforma o anche in base alle varie legislazioni nazionali. Gli utenti poi compiono l’operazione, ossia si scambiano contro corrispettivo beni e servizi, e remunerano per l’intermediazione la piattaforma la quale può anche intervenire nel pagamento dell’operazione. Le piattaforme quindi fisiologicamente, nella erogazione del proprio servizio, raccolgono informazioni digitali sui propri user e sulle relative operazioni. In altri termini costituiscono una miniera di dati nativamente digitali, spesso accentrati presso il gestore, di potenziale rilevanza fiscale dal punto di vista dei redditi delle persone (platform sellers) che ricevono i corrispettivi.
In tale contesto, negli ultimi mesi Working Party 10 dell’Ocse sullo scambio di informazioni a livello internazionale si sta occupando di loro quali collettori e potenziali fornitori alle autorità fiscali di informazioni di rilevanza reddituale circa le operazioni sottostanti e, quindi, quali strumenti per portare luce, semplificare e spingere all’adempimento spontaneo o, comunque, per combattere in modo “digitalmente” mirato l’economia sommersa.
Nel «Rapporto intermedio sulla digitalizzazione» del marzo 2018 (vedi pag. 194 e successive) si illustra il razionale di imporre alle piattaforme la comunicazione di informazioni sulle transazioni, spesso dell’economia reale (si pensi ai servizi di locazione immobiliare, di trasporto o in generale allo scambio di beni e prestazione di servizi), tra operatori (B2B, B2C, C2B e P2PC2C) che usano la piattaforma stessa per facilitare (o addirittura rendere possibile) la propria attività economica.
Varie giurisdizioni hanno già iniziato a “richiedere” unilateralmente alle piattaforme la fornitura dei dati (sul seller e sull’operazione). Si pensi, per quanto riguarda l’Italia, al regime della cedolare secca sulle locazioni brevi in cui è richiesta al gestore, anche non residente e senza stabile organizzazione, oltre alla ritenuta d’imposta nel caso di intervento nel pagamento, la fornitura periodica di informazioni qualificate.
Da qui l’opportunità per l’Ocse di coordinare e rendere omogenee le forniture di dati a livello globale, anche per ridurre gli oneri di adempimento degli operatori e rendere possibile un sistema di scambio automatico sulla falsariga di quello già in essere sulle informazioni finanziarie (Common reporting standard – Crs).
Alcune criticità espresse dagli operatori risiedono:

- nella non disponibilità ad oggi di tutti i dati richiesti ed alla conseguente difficoltà di implementare nuovi processi non strettamente richiesti dalle finalità di business (si pensi a residenza e codice fiscale) con connessi costi di adempimento;

- nel grado di affidabilità dei dati raccolti (a differenza degli istituti finanziari che hanno adottato il Crs, tali operatori, non sono tenuti a stringenti controlli antiriciclaggio – Aml/Kyc - e non sono in grado quindi di verificare e certificare tutte le informazioni che gli utenti “caricano” sulla piattaforma in una relazione che non è “faccia a faccia”);

- nei possibili vincoli locali alla comunicazione a terzi (comprese le amministrazioni estere) dei contenuti informativi presenti nei dei loro data base -si pensi alle legislazioni sulla privacy.

Insomma un progetto razionale, che dovrebbe sfociare entro la fine dell’anno nelle prime bozze di legislazione modello e di accordi per lo scambio automatico di informazioni. ma che deve risolvere molteplici questioni, non ultima quella di non affossare la sharing e la gig economy con elevati costi di adempimento o con l’introduzione di rallentamenti che potrebbero disincentivare gli user dell’utilizzare le piattaforme.

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