Imposte

L’aspettativa del carried interest non incide sul reddito di lavoro

L’agenzia delle Entrate risponde sui diritti patrimoniali rafforzati

di Fabio Brunelli e Marco Sandoli

Con risposta a interpello (non ancora pubblicata) l’agenzia delle Entrate ha fornito un importante chiarimento in tema di diritti patrimoniali rafforzati (carried interest), confermando che ai fini della determinazione dell’eventuale reddito di lavoro dipendente in capo al beneficiario occorre fare riferimento al valore normale del titolo assegnato o sottoscritto, senza che assuma rilievo la mera aspettativa di percepire in futuro un utile più che proporzionale.

Secondo quanto correttamente ricostruito dalle Entrate, l’assegnazione a manager o dipendenti di strumenti partecipativi con diritti patrimoniali rafforzati, a prescindere dalla qualificazione dei futuri proventi in base all’articolo 60 del decreto legge 50/2017, costituisce un evento suscettibile di generare immediatamente reddito di lavoro dipendente o assimilato in base al principio della “omnicomprensività”. Infatti la differenza positiva tra il valore normale del titolo ricevuto e quanto pagato per la sottoscrizione o l’acquisto rappresenta un benefit in natura da includere nella retribuzione.

Il tema che si poneva è se nella valorizzazione del titolo dovesse tenersi conto (in termini incrementativi) della aspettativa di ricevere in futuro il carried interest laddove questo al momento dell’assegnazione non fosse ancora maturato (out of the money). Al riguardo l’Agenzia ha precisato che in ambito di reddito di lavoro occorre fare riferimento al momento della percezione, che nel caso di azioni si identifica generalmente con la sottoscrizione. Inoltre, in base agli articoli 51, commi 3 e 9, lettera b), del Tuir il reddito in natura va determinato in base al valore normale, che per le partecipazioni non quotate è fissato in proporzione al valore del patrimonio netto effettivo della società emittente, risultante da una relazione giurata di stima. Considerato che il carried interest attiene a un momento successivo all’assegnazione e ha natura solo potenziale, l’Agenzia conclude che esso non possa influenzare la valorizzazione del titolo partecipativo.

Come corollario del principio espresso dalla risposta è peraltro ragionevole ritenere che, laddove i titoli con diritti patrimoniali rafforzati vengano acquistati in un momento in cui il valore del patrimonio netto effettivo della società emittente è tale da far scattare il privilegio – per cui la proporzione del patrimonio netto riferibile a tali titoli non è più pari passu con i titoli ordinari, ma i meccanismi statutari comportano una ripartizione rafforzata a favore dei primi – ne dovrebbe conseguire la necessità (in questo caso sì) di computare il carried interest maturato (in the money) ai fini della determinazione del valore normale. In tal caso pertanto, affinché non emerga un reddito di lavoro, è necessario che il prezzo corrisposto per l’acquisto del titolo pareggi il valore normale inclusivo del carried interest maturato, come risultante da una relazione giurata di stima.

Detto questo in linea di principio, stabilire se il diritto patrimoniale rafforzato sia a un certo punto nel tempo da considerare maturato e quindi compreso nella valorizzazione del titolo non sempre può risultare un esercizio semplice, alla luce di come il meccanismo del privilegio è in concreto disciplinato dallo statuto e della circostanza che possono essere previste anche contrattualmente clausole che ne condizionano la formazione.

Da notare infine che la rilevanza o meno ai fini valutativi dei diritti patrimoniali rafforzati può assumere interesse anche ai fini della disciplina che consente la rivalutazione delle partecipazioni a fronte del pagamento di una imposta sostitutiva. Ove infatti il carried interest non possa considerarsi maturato nei termini sopra descritti non dovrebbe essere possibile anticiparne la tassazione con una aliquota agevolata mediante la rivalutazione del titolo.

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