Contabilità

«Stime» fuori dal falso in bilancio

di Giovanni Negri

Non è un colpo mortale, ma il nuovo falso in bilancio esce azzoppato dalla sentenza della Corte di cassazione (n.33774) che ha prosciolto da alcuni capi d’imputazione l’ex sondaggista di Silvio Berlusconi, Luigi Crespi. Per la corte, infatti, vanno ormai considerati di fatto depenalizzati i falsi estimativi, quelli basati cioè su una valutazione, sull’attribuzione, sottolinea la Corte, di un dato numerico a una realtà sottostante. Si tratta della diretta conseguenza della nuova legge n. 69 del 2015 che ha conferito rilevanza penale ai fatti materiali, ma ha soppresso il riferimento alle valutazioni. Il tutto in un contesto però, ammette la sentenza, di estensione dell’ambito «di operatività dell’incremento e della false comunicazioni sociali, avendo comportato, come evidenziato, l’eliminazione dell’evento e delle soglie previste dal precedente testo dell’articolo 2622 del Codice civile, mantenendo invece parzialmente coincidente il profilo della condotta tipica». Un intervento cioè di segno nettamente contrario a quello del Dlgs 61/2002 che aveva ristretto il perimetro della rilevanza penale.Questo in termini generali. Sullo specifico del falso in bilancio determinato da stime e valutazioni che si scostano da quelle corrette, la Cassazione è altrettanto netta e mette in evidenza quella che appare una scelta consapevole del legislatore. L’assenza del riferimento alle valutazioni nelle nuove fattispecie di falso in bilancio, dedicate alle quotate e alle non quotate, costituisce l’esito di uno specifico emendamento che cancellò quanto previsto in una prima versione del testo che, invece, considerava penalmente rilevanti le condotte e e le omissioni che avessero come oggetto le «informazioni». E in questa accezione sarebbero certo rientrate anche le valutazioni. Chiara quindi appare alla Corte l’intenzione di non attribuire più rilevanza penale alle stime che caratterizzano alcune voci di bilancio.Lo stesso confronto con la normativa penale tributaria che ha visto prima l’esclusione delle stime e poi il loro rientro nell’area penale e con il contesto del Codice civile, nel quale sopravvive il riferimento alle valutazioni nel reato di ostacolo all’attività di vigilanza, corrobora il ragionamento della Corte. Insomma, quando il legislatore ha voluto attribuire rilevanza penale alle stime l’ha scritto espressamente, come del resto aveva fatto nella precedente versione del Codice civile sul falso, dove il falso estimativo aveva comunque cittadinanza, seppure con un’area di esenzione penale circoscritta da uno scostamento inferiore al 10 per cento dai valori corretti. E se la cancellazione delle tanto contestate soglie di rilevanza penale rappresenta uno dei punti centrali della riforma, adesso, nel solo perimetro del falso estimativo, la Cassazione ne ricorda invece l’importanza in termini di tipicità della norma penale.Ma la Corte mette anche in risalto come il riferimento ai fatti materiali, che nell’ipotesi dell’articolo 2621 dedicata alle sole società non quotate devono anche essere rilevanti, introduce un elemento di genericità che amplia in maniera considerevole la discrezionalità dell’autorità giudiziaria nella definizione di quanto è passibile di sanzione penale. Una disposizione quindi che mostra significative carenze di tipizzazione, direbbe il giurista. E che appare alla Cassazione tanto più importante se solo si tiene conto, sottolineano i giudici, che la «maggior parte delle poste di bilancio altro non è se non l’esito di procedimenti valutativi e, quindi, non può essere in alcun modo ricondotta nell’alveo dei soli fatti materiali, come previsti dalla normativa introdotta dalla legge n. 69 del 2015». Alla fine, la riforma, sul punto, determina un ridimensionamento dell’elemento oggettivo del falso in bilancio (quanto ai soggetti che possono commettere il reato le previsioni sono rimaste di fatto identiche) con un effetto che è parzialmente abrogativo, limitato a quei fatti che non trovano più corrispondenza nelle nuove disposizioni.

(LEGGI LA SCHEDA)

La sentenza n. 33774/2015 della Cassazione

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