Professione

Professioni intellettuali motore di dignità e crescita, senza spinte corporative

di Claudio Siciliotti

Guido Piovene scriveva nel suo «Viaggio in Italia», oltre cinquant’anni fa, che sostenere che l’Italia è un paese statico vuol dire non capirne nulla. «La staticità è nel coperchio o, per essere più precisi, in tutto ciò che chiederebbe chiarezza di pensiero e coraggio intellettuale. Sotto, sebbene in modo opaco, la società italiana è la più mobile, più fluida, più distruttrice d’Europa; assomiglia a quelle acque che scorrono rapidamente, senza però riuscire a smuovere una coltre spessa e dura di foglie impastate di limo che le copre e le fa parere immobili».

Questa definizione della società italiana, nonostante il lungo tempo trascorso, è ancora attuale. Sotto il coperchio di una classe dirigente troppo spesso non all’altezza dei cittadini che dovrebbe rappresentare scorre una società civile assai vivace e innovativa. Vi è infatti da noi una spiccata tendenza sociale a radunarsi in movimenti e associazioni, a ricercare costantemente una forma in cui riconoscersi e riunirsi.

Questa tendenza all’associazionismo finisce così per diventare un pilastro importante della nostra vita collettiva, quel cantiere sociale che permette a una comunità di evolversi. I cittadini informati e partecipativi infatti hanno più fiducia e più certezza nel futuro. E per prosperare una società ha bisogno di ottimismo e di una soglia minima di certezze per fare progetti, per lavorare, per investire e anche per fare figli.

Il civismo e l’impegno sociale rafforzano il coraggio di vivere e ci fanno scoprire l’energia contagiosa dell’azione collettiva. Tutto questo è oggi quanto mai rilevante e necessario. Siamo infatti in un momento in cui si decide se in futuro ci sarà ancora quell’Italia che abbiamo letto, conosciuto e sognato. Nella quale dobbiamo tornare a sentire l’impegno di dare un futuro ai nostri giovani perché possano avere anch’essi un passato da raccontare.

In questo contesto sociale gli Ordini professionali possono svolgere un ruolo fondamentale. L’appartenervi in maniera attiva può, per ciascun iscritto, diventare una parte rilevante della propria biografia individuale fino a influenzare profondamente le pratiche e gli stili di vita.

L’aveva capito bene William Santorelli, alla cui affettuosa memoria voglio dedicare queste riflessioni, che ha avuto la capacità di guardare lontano, anteponendo sempre gli interessi della categoria che era chiamato a rappresentare ai propri. Contribuendo così grandemente all’affermazione delle professioni nel panorama nazionale. Venerdì a Pesaro, promosso dall’Ordine dei commercialisti si terrà il convegno «Dentro la società civile. Ricordando William Santorelli», cui parteciperà, tra gli altri Giuseppe De Rita e il presidente del Consiglio nazionale Massimo Miani (10.30, Palazzo Montani Antaldi).

Ci sono molte ragioni che giustificano l’importanza di questo ruolo riferito agli Ordini professionali.

Innanzitutto perché oggi il sapere è il più importante fattore di sviluppo ed il più rilevante elemento competitivo di una società avanzata. Le scelte politiche e sociali devono infatti essere intese sempre più come materie di competenza razionale.

Spesso si sente parlare di governi tecnici per risolvere problemi che la politica non riesce ad affrontare. Forse sarebbe sufficiente pretendere politici tecnicamente preparati. Ma centralità delle competenze tecniche equivale proprio a dire centralità delle professioni liberali.

Senza i valori dell’impegno intellettuale, del merito, senza la curiosità scientifica, la capacità di risolvere problemi ad alto livello, la creatività, una società non può essere competitiva. Non è certo che chi sa diventi ricco, ma è invece certo che chi non sa resterà povero.

Se le professioni sapranno uscire dalle pulsioni corporative, se sapranno interpretare il loro ruolo in modo non solo tecnico ma anche sociale, potranno senz’altro costituire un grande esempio virtuoso di associazionismo sociale e svolgere un ruolo di rilievo a favore del progresso del nostro paese. «Motus in fine velocior» dicevano i latini, il movimento è più veloce verso la fine.

È appunto verso la fine che ci deve essere per forza un’accelerazione del movimento intellettuale.

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