Imposte

Bonus facciate, la certificazione su zona A e B non è a pena di decadenza

La localizzazione degli edifici nella zona territoriale omogenea A o B dev’essere certificata dal Comune

di Raffaele Lungarella

Ai fini del nuovo bonus facciate, la localizzazione degli edifici nella zona territoriale omogenea A o B dev’essere certificata dal Comune. Così ha chiarito l’agenzia delle Entrate nella circolare 2/E del 14 febbraio scorso e nella guida online (esplicativa della circolare stessa), con cui ha specificato limiti, criteri e procedure alle quali attenersi per portare in detrazione (dall’Irpef o dall’Ires), in dieci anni, il 90% della spesa sostenuta per gli interventi edilizi realizzati per il recupero o il restauro delle facciate esterne degli edifici esistenti.

Dunque, si può beneficiare del bonus facciate solo per gli immobili che si trovano nelle zone A e B del decreto ministeriale 1444/1968 o in quelle a esse equiparate delle normative regionali e dai regolamenti edilizi e/o gli strumenti urbanistici. Il decreto definisce zona A «le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale o da porzioni di essi»; e zona B «le parti del territorio totalmente o parzialmente edificate, diverse dalle zone A». A grandi linee, nella prima zona rientrano i centri delle città e nella seconda le loro periferie.

Tra nuove e vecchie certificazioni
La circolare precisa che «l’assimilazione alle predette zone A o B della zona territoriale nella quale ricade l’edificio oggetto dell’intervento dovrà risultare dalle certificazioni urbanistiche rilasciate dagli enti competenti». Questi enti competenti non possono che essere le amministrazioni comunali. È esclusa, quindi, l’autocertificazione della corretta ubicazione dell’edificio.

L’elenco della documentazione che dev’essere conservata ed esibita a richiesta degli uffici non comprende però - nella circolare così come nella guida delle Entrate - questa specifica certificazione urbanistica. Ma dal momento che tale certificazione è stata richiesta e ottenuta, vale la pena conservarla, altrimenti non si capirebbe a cos’altro potrebbe servire.

D’altra parte, c’è da chiedersi cosa potrebbe accadere se il contribuente, in fase di controllo, risultasse privo della certificazione. Il mancato inserimento tra i documenti da conservare ed esibire a richiesta del Fisco fa sì che l’assenza del certificato non possa essere considerato causa di decadenza dall’agevolazione (costituirebbe, invece, una infrazione formale).

In pratica, una volta che l’edificio è effettivamente in zona A o B, la certificazione comunale diventa lo strumento per rendere nota al Fisco, in modo certo ed efficace, la corretta localizzazione dell’immobile. Dal che ne consegue che la certificazione potrebbe anche essere ottenuta in un secondo tempo.

Naturalmente, i funzionari del Fisco potrebbero non essere di questa opinione. Ma, a questo punto, nel corso di un eventuale contenzioso il giudice tributario sarebbe sempre libero di accertare la sussistenza dei requisiti - tra cui appunto l’ubicazione dell’immobile in zona A o B - attingendo eventualmente a piani regolatori, zonizzazioni e così via prodotte dal contribuente.

Le indicazioni nelle vecchie licenze
Per gli immobili più vecchi, potrebbe essere che qualche amministrazione comunale abbia indicato la zona di ubicazione nel titolo abilitativo (la vecchia licenza edilizia) che ne autorizzava la realizzazione. Al momento del rilascio di quell’autorizzazione, l’area di localizzazione dell’intervento poteva già ricadere in zona A o B; ed è improbabile che la classificazione di zona sia cambiata. In questo caso, occorrerebbe però stabilire se è sufficiente quell’attestazione o se al contrario è necessario chiedere una certificazione confermativa all’ufficio tecnico del Comune. Al quale non si può, evidentemente, evitare di rivolgersi in tutti gli altri casi.

Ulteriore adempimento per i Comuni
Ma non è detto che dappertutto accolgano con entusiasmo le richieste di documentare la localizzazione di un edificio. Per le amministrazioni comunali che hanno già una cartografia della suddivisione in zone dei propri territori, con l’identificazione dei centri urbani e delle periferie, il rilascio della certificazione richiesta è un adempimento tutto sommato ordinario. Dove gli strumenti urbanistici non presentano questo dettaglio, invece, gli uffici tecnici dovrebbero prima provvedere alla classificazione del territorio: un’incombenza non di poco conto, di cui forse farebbero volentieri a meno e che potrebbe non rientrare tra le loro priorità, se non ritenuta addirittura inutile (visto che finora non vi avevano provveduto).
Questa difficoltà potrebbe riflettersi negativamente sull’efficacia della misura, tanto più che essa è a tempo: la detrazione si applica solo sulle spese sostenute nel 2020.

Probabilmente il legislatore, nel disegnare (con i commi 219-224 dell’unico articolo della legge 160/2019 di Bilancio per il 2020) i contorni del bonus facciate, ha trascurato l’importanza del coinvolgimento dei Comuni. A conti fatti la loro rapidità nel fornire informazioni ai cittadini sarà determinante per il successo dell’agevolazione.

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