Contabilità

L’Ifrs: le criptomonete non sono una valuta ma rimanenze

di Fabrizio Cancelliere e Armando Tardini

Novità importanti sul fronte del trattamento contabile di Bitcoin e altre criptovalute. Nel suo ultimo appuntamento londinese dello scorso giugno, l’Ifrs Interpretations Committee (Ic), che interpreta i principi contabili internazionali – su richiesta dello Iasb (International Accounting Standards Board) – si è espressa in merito al trattamento contabile da riservare a questi innovativi e sempre più diffusi asset digitali.

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Criptovalute come intangibles

Nel paper 12, l’Ic ha concluso a favore della qualificazione delle criptovalute come rimanenze, da contabilizzare secondo lo Ias 2, se detenute per la vendita nell’ambito dell’attività ordinaria, oppure – in caso contrario – come attività immateriali da contabilizzare secondo lo Ias 38. Il comitato è arrivato a questa conclusione partendo dal principio per cui lo Ias 38 si applica a tutti gli asset intangibili che non rientrano già nell’ambito di altri principi e in particolare dei financial asset di cui allo Ias 32.

Interrogatosi su questo ultimo aspetto, l’Ic esclude che i crypto-asset possano avere natura monetaria e che possano dunque essere contabilizzati tra le disponibilità liquide o tra gli strumenti finanziari. Ciò in quanto le valute virtuali non assolvono la funzione tradizionale della moneta, non essendo utilizzate universalmente come mezzo di pagamento, e peraltro alle stesse non si aggancia alcun diritto o obbligo contrattuale, requisito necessario per la classificazione come strumenti finanziari.

Appurata dunque la natura non monetaria delle criptovalute, l’Ic osserva che – qualora detenute per finalità di trading nell’ambito della propria attività – le criptovalute possono ricadere nell’ambito dello Ias 2 ed essere contabilizzate come rimanenze di magazzino. Tale inquadramento potrebbe valere ad esempio per gli operatori specializzati in criptovalute, come exchanges o wallet providers, potenzialmente interessati a mantenere scorte di queste attività, oppure quelli che lo Ias 2 definisce commodity broker-traders. In caso di impieghi differenti, secondo l’Ic le criptovalute rientrano nell’ambito proprio dello Ias 38, dunque come beni immateriali (attività non monetaria priva di consistenza fisica), poiché soddisfano tutte le condizioni richieste: sono attività identificabili e generatrici di benefici economici futuri, non liberamente accessibili da terzi.

Le ricadute sul bilancio

Come anticipato da Banca Italia nel proprio Occasional paper dello scorso marzo, con cui erano stati anticipati i temi della discussione Iasb poi riflessi nel paper, la diversità di scelta nella classificazione contabile ha riflessi sul criterio di valutazione e, conseguentemente, sulla rappresentazione in bilancio. Infatti, lo Ias 38 consente la scelta tra la valutazione al costo (al netto di ammortamenti e eventuali perdite di valore accumulate), oppure al fair value (solo per attività con mercato attivo, con variazioni di valore rilevate in una riserva di patrimonio netto e non a conto economico). Secondo lo Ias 2, le rimanenze vanno inizialmente iscritte in bilancio al costo e successivamente valutate al minore tra il costo e il valore netto di realizzo, fatta eccezione per i broker-traders, per i quali è ammessa la valutazione al fair value al netto dei costi di vendita, con rilevazione delle variazioni di valore a conto economico.

In sintesi, dunque, dal nuovo paper Iasb-Ic emerge che gli attuali principi Ias/Ifrs non consentono di qualificare i crypto-asset come valuta o strumento finanziario. Conclusione condivisibile ma in contrasto con le posizioni assunte, ai fini fiscali, dalle autorità domestiche ed europee: nelle poche pronunce ufficiali dell’agenzia delle Entrate (risoluzione 72/E/2016 e risposta n. 14/2018), le criptovalute sono state infatti assimilate dal punto di vista fiscale a valute estere, sulla scia della sentenza 22 ottobre 2015, Causa C-264/14 della Corte di giustizia Ue. In un quadro normativo in continuo divenire le ultime istruzioni contabili spingono dunque a nuove riflessioni in merito al trattamento fiscale che le società detentrici di criptovalute devono applicare.

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