La professione richiede uno status più chiaro e forte
Il manifesto dei commercialisti presentato ieri dal Consiglio nazionale della categoria richiede un riconoscimento più preciso del ruolo di una professione liberale svolta da oltre 64mila studi professionali con valore aggiunto pari allo 0,8% del Pil.
Intanto, valorizzazione del ruolo non significa, secondo il manifesto, pretendere prerogative aggiuntive rispetto a quelle che la legge già assegna alla categoria. E ciò né nella forma di nuove “esclusive” o riserve di attività agli iscritti all’albo; né in quella dell’estensione di funzioni già svolte da altre professioni da condividere con queste ultime. Questa affermazione del manifesto risente dell’estensione delle competenze sulle crisi d’impresa ai consulenti del lavoro così come del tentativo (poi venuto meno) di ampliamento del ruolo di avvocati e commercialisti, a spese dei notai, in materia di autentica e deposito presso le camere di commercio dei contratti sul trasferimento della proprietà o del godimento di un’azienda.
Il manifesto richiede una definizione più chiara delle funzioni svolte dai commercialisti in adempimento di obblighi di legge. Si pensi alla carica di componente di un collegio sindacale di una società per azioni oppure al rilascio del visto di conformità sulle dichiarazioni tributarie. Queste attività vanno distinte dall’attività di consulenza e assistenza in ambito contabile e fiscale richiesta dalla clientela su base volontaria. Esse infatti sono svolte non solo nell’interesse del committente, ma anche in quello di terzi o nell’interesse pubblico. Ciò giustifica l’attribuzione al professionista del ruolo di «incaricato di pubblico servizio», una specifica valorizzazione sotto il profilo economico, sotto forma soglia minima di “equo compenso”, nonché una limitazione della responsabilità patrimoniale entro tetti predefiniti. Oggi, secondo il manifesto, a fronte di compensi modesti per la carica di sindaco, i rischi di responsabilità sono sproporzionati.
Il manifesto sottolinea una serie di problemi significativi ma porta a fare alcune osservazioni. La previsione obbligatoria di un collegio sindacale, non significa obbligo di accettare l’incarico, che è sempre volontario. Inoltre, il rischio della responsabilità patrimoniale è elevato anche per altre cariche, come il consigliere di amministrazione senza deleghe.
La qualifica di incaricato di pubblico servizio forse non è appropriata almeno con riferimento a un’altra richiesta, contenuta nel manifesto, di affidare alla categoria alcuni, non meglio precisati, «atti delle amministrazioni pubbliche». Per questi, la qualifica appropriata è quella, già prevista per i notai, di «pubblico ufficiale». Quest’ultimo secondo il Codice penale, che però ha valenza generale, è infatti chi esercita una «pubblica funzione» (articolo 357). In ogni caso reclamare queste qualifiche implica un aggravamento della responsabilità penale e di altri obblighi di legge. Non è scontato che ne valga la pena.