Adempimenti

Irap, imprenditore familiare sempre obbligato a pagare

di Giorgio Gavelli

L’approssimarsi della scadenza per la presentazione delle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2019 riporta all’attenzione il tema della soggettività passiva Irap per professionisti e piccoli imprenditori. Per questi ultimi, in particolare, la giurisprudenza della Cassazione non consente di giungere alle certezze richieste dai contribuenti, in particolare con riferimento all’impresa familiare.

Sembra che i (condivisibili) principi affermati dalle sentenze degli anni passati siano passati in secondo piano, per giungere a conclusioni che non paiono in linea con i confini applicativi del tributo via via affermati dalla stessa Suprema Corte, in modo non dissimile da quanto accadde con l’Ilor.

L’imprenditore familiare

Con l’ordinanza 22469/2019, depositata il 9 settembre, è stato affermato che l’imprenditore familiare è sempre soggetto passivo Irap, atteso che la collaborazione dei partecipanti integra quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare ed è, quindi, sintomatica del relativo presupposto impositivo.

Nella fattispecie, la decisione della Commissione tributaria regionale, favorevole al contribuente, aveva riconosciuto il diritto al rimborso del tributo regionale a un promotore finanziario, in relazione al fatto che il coniuge, collaboratore dell’impresa familiare, in quanto privo della necessaria qualifica, svolgeva una mansione meramente esecutiva, in tutto simile a quella di una segretaria. Tale decisione viene cassata (senza rinvio) facendo riferimento agli importi annualmente dichiarati dalla collaboratrice come reddito di partecipazione, in quanto, essendo elevati, si manifesterebbero incompatibili con l’assenza di autonoma organizzazione.

L’apporto del lavoratore

Un simile approccio appare discutibile. Secondo l’ordinanza 17429/2016 l’autonoma organizzazione di una impresa individuale che fruisce dell’apporto del collaboratore familiare va valutata – ai fini dell’assoggettamento o meno a Irap – secondo gli stessi principi già espressi con riguardo al dipendente, principalmente con la nota sentenza 9451/2016 a Sezioni unite.

In essa, la Suprema Corte aveva ricondotto a unità i diversi orientamenti emersi nei vari giudizi circa il ruolo del lavoro svolto da terzi a favore dell’impresa come elemento caratterizzante l’organizzazione e, di conseguenza, come parametro per decidere se l’impresa rientra o meno tra i contribuenti tenuti al pagamento dell’Irap.

Il quesito, secondo la Corte, va risolto in maniera positiva solo se l’utilizzo in modo non occasionale del lavoro altrui (nelle forme del lavoro dipendente o della collaborazione) ecceda lo svolgimento di «mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive».

Non è, quindi, la remunerazione del dipendente il driver per le decisioni, ma l’apporto lavorativo dello stesso, in termini di attività concretamente svolte (sentenza 26991/2014).

Ricavi e reddito dichiarato

Del resto, parametri quali i ricavi/compensi complessivamente conseguiti dall’impresa e il reddito dichiarato sono ininfluenti ai fini della soggettività passiva Irap (da ultimo, ordinanze 17245/2019 e 8728/2018), per cui non si vede quale incidenza possa avere il reddito dichiarato dal collaboratore, che altro non è se non una percentuale di quello complessivamente dichiarato dal titolare. È pur vero che tale percentuale viene fissata in proporzione alla qualità e quantità del lavoro effettivamente prestato nell’impresa (articolo 5 del Tuir), ma ciò costituisce un indice assai poco indicativo delle mansioni a cui è effettivamente destinato il collaboratore.

Paga l’Irap l’avvocato che si avvale sistematicamente delle prestazioni del coniuge avvocato (ordinanze 10998/2018 e 1089/2018) ma, nel caso di specie, difficilmente il coniuge del promotore finanziario può aver avuto un ruolo operativo diverso da quello meramente esecutivo, difettando delle competenze (e delle abilitazioni) necessarie alla consulenza.

L’esame della giurisprudenza degli ultimi anni mostra, in buona sostanza, due diversi orientamenti:

un primo filone che, come anticipato, assimila il collaboratore al dipendente e indaga sull’apporto concretamente reso da tale soggetto all’organizzazione d’impresa (pronuncia 17429/2016 e, nel merito, Ctr Piemonte 778/5/2019);

un secondo che, invece, si dimostra favorevole all’equazione «impresa familiare = impresa organizzata» senza permettere al contribuente di entrare nel merito sull’apporto effettivo del collaboratore (pronunce 15217/2019, 14789/2018, 16742/2017, 24060/2016, 23586/2016 e 12616/2016).

Se il primo orientamento ci sembra più in linea con i principi generali che la Cassazione ha delineato in questi anni, il secondo appare numericamente maggioritario. Per maggiori certezze (ed equità) c’è da augurarsi che la questione venga rimessa alle Sezioni Unite.

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