Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le pronunce di Milano: accertamento, Ires, Imu e segnalazione cambio di sede

di Enrico Holzmiller, Cecilia Cantaluppi e Gaetano Sirimarco

Il contribuente che si avvantaggia della frode deve provare la sua estraneità. Accertamento Ires in ambito consolidato fiscale e utilizzo di perdite fiscali derivanti da istanza di rimborso. Contraddittorio preventivo necessario anche ai fini Imu se in linea con i dettami della Corte Ue . La contestazione per mancata segnalazione di variazione sede può avvenire solo entro i termini di prescrizione

Il contribuente che si avvantaggia della frode deve provare la sua estraneità

Quando è evidente l’illegittimità di operazioni (pur compiute da terzi, ma) precipuamente collegate all’attività del contribuente, che ne abbia tratto un indubbio vantaggio, è su quest’ultimo che grava l’onere di provare la propria inconsapevolezza di stare partecipando ad azioni fraudolente. La Commissione ha accolto l’appello della DP Ag. Entrate di Brescia, riformando la decisione della Ctp di Brescia che aveva accolto un ricorso avverso avvisi di accertamento per maggiore imposta Iva.
La vicenda nasce da indagini svolte, che avrebbero evidenziato un sodalizio criminale, volto a frodi fiscali, tra il contribuente e altre società. Al contribuente veniva riconosciuto un ruolo attivo, apparendo egli ben consapevole che le operazioni commerciali intercorse con un soggetto erano in effetti da ricondurre ad altro soggetto.
L’Agenzia aveva perciò contestato l’infedele fatturazione e registrazione di operazioni imponibili in mancanza della dichiarazione di intento. Il contribuente aveva presentato ricorso.
La Ctp adita, ponendosi in linea con le sentenze della Cassazione 5979/2014, 9001/2014 e 25799/2014 e l’ordinanza 13787/2014, aveva osservato che, quando la contabilità appare regolare, è l’Agenzia che deve provare che si tratta di operazioni soggettivamente inesistenti.
Nella fattispecie, aveva precisato che:
1) questa avrebbe dovuto dimostrare:
che gli acquirenti fossero stati privi di operatività e non dotati di personale;
che vi fossero state eventuali strumentali interposizioni di società “filtro”;
che il contribuente fosse stato consapevole di star partecipando ad una frode (questa prova si sarebbe potuta raggiungere anche attraverso presunzioni semplici, purché munite dei requisiti di gravità, precisione e concordanza).
2) anche una volta che l’Agenzia avesse concretamente motivato i propri assunti, il contribuente avrebbe assolto al suo onere probatorio dimostrando di non essersi trovato in condizioni di cogliere il carattere fraudolento delle operazioni. Al riguardo aveva invocato l’articolo 7, comma 3 del Dlgs 471/1997 assumendo, inoltre, che la ricostruzione della Ctp si era fondata su semplici indizi non qualificati e non sufficienti a dimostrare la suddetta consapevolezza;
3) la qualifica di “esportatore abituale”, con facoltà di acquistare senza Iva, è riservata a chi effettui almeno il 10% di operazioni all’export nel periodo precedente e non vi è obbligo che la merce venduta sia effettivamente destinata all’esportazione: perciò il contribuente non avrebbe potuto accertare che vi fosse il presupposto oggettivo della richiesta di fatturazione senza applicazione dell’Iva (ex articolo 8, lettera C, Dpr 633/1972);
4) il contribuente aveva effettuato visure presso la Cciaa e presso un accreditato fornitore internazionale di informazioni commerciali per accertarsi almeno dell’operatività, se non dell’affidabilità, dei propri partners. Esso aveva anche ottenuto un decreto ingiuntivo e una dichiarazione di fallimento, nel cui stato passivo era stato ammesso, nei confronti di una Società inadempiente;
5) non risultava che il contribuente avesse ricevuto vantaggi fiscali od economici nell’aver partecipato ad operazioni fraudolente (se non quello di aver fatturato senza addebitare Iva; ma, se l’avesse addebitata, l’avrebbe altresì richiesta agli acquirenti che, a loro volta, sarebbero risultati suoi debitori e contestualmente creditori di imposta verso l’Erario).
La Ctp aveva quindi accolto il ricorso del contribuente.
La direzione provinciale, proponendo appello innanzi la Ctr, ha invece evidenziato che la pretesa dell’Agenzia è supportata da presunzioni gravi, precise e concordanti alle quali il contribuente non ha opposto prove contrarie.
Nel merito ha affermato che il contribuente non ha usato le dovute precauzioni al momento di fatturare senza Iva. Non ha provato per iscritto di aver effettivamente compiuto determinate operazioni. Non ha rilevato la pur evidente illegittimità del presupposto delle lettere di intento. Si è quindi comportato, se non con dolo, con colpa grave.
Alla luce di quanto riferito dal curatore fallimentare di una delle società, ha ipotizzato un magazzino contabile superiore a quello effettivo: la fatturazione avrebbe avuto quindi lo scopo di eliminare questa differenza contabile e, nello stesso tempo, di far acquisire al contribuente il diritto di dedurre direttamente dall’imponibile Ires l’importo corrispondente (come effetto dell’insinuazione nel passivo del fallimento, a fronte di nessuna cessione effettivamente attuata).
Pertanto il contribuente è stato riconosciuto connivente nel disegno criminoso attuato da terzi. Di conseguenza è stato posto a suo carico l’onere di provare il contrario.
Ne deriva l’accoglimento del ricorso come sopra indicato.

Sentenza CTR Lombardia- Sez. Brescia n. 2345/2019


Accertamento Ires in ambito consolidato fiscale e utilizzo di perdite fiscali

I primi giudici, hanno accolto le doglianze della società contribuente, la quale aveva ricevuto dall’agenzia delle Entrate avviso di liquidazione con il quale è stato accertato un maggior reddito ai fini Ires a seguito dell’indebito utilizzo di perdite in violazione dell’articolo 84 Tuir e dell’articolo 2, Dl 201/2012, il quale peraltro consente di detrarre l’Irap relativa al personale dipendente, o con riferimento ai precedenti periodi d’imposta, previa istanza di rimborso, il riconoscimento dell’eventuale eccedenza quale perdita fiscale che la stessa società ha fatto sia per quanto riguarda la posizione propria che in ambito di consolidato fiscale. Nel caso di specie, il Collegio ha rilevato un vizio di valutazione dell’atto impugnato, il quale si limita a rilevare l’emersione di situazioni fiscalmente rilevanti (fondate su ragionamenti e congetture quand’anche rivelatisi plausibili ma non su elementi concreti) senza null’altro dire in merito alle ragioni del minor riconoscimento e della conseguente ripresa a tassazione.

Sentenza CTP Milano n. 2475/2018


Con traddittorio preventivo anche ai fini Imu se in linea con la Corte Ue

Con la sentenza in commento, i giudici milanesi affrontano il tema del contraddittorio endoprocedimentale nell’ambito delle imposte locali (nel caso di specie, l’Imu).
Il contenzioso verte su un accertamento, emesso dal Comune, in relazione ad un’applicazione errata di aliquota agevolata su immobile C1.
Il ricorrente, ricordati alcuni passaggi del regolamento comunale, precisa che detta aliquota agevolata può essere applicata – nel caso di specie – laddove il contribuente provi la regolarità fiscale anche con riguardo ai tributi locali. Tuttavia, per quanto emerge dalla sentenza, a differenza di quanto prospettato dal Comune, detta regolarità doveva essere valutata con riguardo agli anni pregressi, e non in merito all’annualità in corso all’atto del godimento della citata aliquota agevolata.
I giudici, analizzate le scadenze delle impose nonché il periodo di utilizzo dell’agevolazione, accolgono le ragioni del contribuente in quanto, viceversa, «il contribuente non potrebbe mai sfruttare l’agevolazione dell’aliquota ridotta perché nel momento in cui dovrebbe beneficiarne, non potrebbe dirsi aver già regolarizzato la propria posizione fiscale nell’anno corrente».
Tuttavia, il tema più interessante attiene all’efficacia del contraddittorio. Il ricorrente infatti, tra le varie motivazioni, aveva lamentato l’assenza di alcun contraddittorio preventivo. A contrasto di tale eccezione, il Comune – parte avversa – richiamando le sentenze della Corte Ue C-129/13 e C-130/13, aveva eccepito il fatto che la mancanza di contraddittorio preventivo non produce l’annullamento dell’atto in tutte quelle circostanze in cui la fattispecie considerata, per sua oggettiva connotazione, non avrebbe potuto essere trattata in maniera differente anche in presenza del suddetto contraddittorio.
Tuttavia, prendendo proprio spunto dal passaggio richiamato nelle controdeduzioni dal Comune, la Commissione perviene alla conclusione opposta: proprio in funzione dell’errore incorso da parte del Comune nel considerare la regolarità fiscale nello stesso anno di godimento dell’agevolazione, il luogo delle annualità pregresse, ben avrebbe potuto il contribuente provare detta argomentazione nel corso del contraddittorio. «L’adozione del chiesto contraddittorio da parte dell’Ente Impositore – precisano i giudici milanesi – avrebbe avuto l’effetto di affrontare tali tematiche».

Sentenza CTP Milano n. 2453/2019


Non si sanziona dopo 10 anni la mancata segnalazione di variazione sede

Il contenzioso in commento trae origine da una contestazione per mancata comunicazione (Mod AA9/10) del cambio della sede dell’attività, con irrogazione della conseguente sanzione. Detta sanzione – secondo quanto emerge dalla lettura della sentenza – sarebbe stata comminata a distanza di dieci anni.
Proprio l’enorme tempo trascorso convince la Commissione della illegittimità della sanzione comminata per un’ipotetica mancata comunicazione.
Alla luce dei tanti anni trascorsi dalla presunta violazione (mancata comunicazione), risulta fondata ed efficace l’eccezione di prescrizione, poiché «l’Ufficio non può dopo tanti anni erogare una sanzione per un fatto risalente ad oltre un decennio precedente; né il contribuente può rimanere soggetto sine die alle eventuali sanzioni per comportamenti ed omissioni così risalenti nel tempo».

Sentenza CTP Milano n. 2469/2019


Hanno collaborato Angela Maria Vairo e Domenico Crosti

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